Ci sono valori che sono fondamentali nella nostra storia collettiva, di nazione e di comunità locale: la libertà, la democrazia, l’uguaglianza sociale, l’antifascismo. Da questi non si può andare indietro, anche sotto la spinta di chissà quale presunto revisionismo, senza correre il rischio di tradire la realtà che ci ha costruiti.
Moltissimi di noi, che viviamo oggi, che siamo cresciuti in un paese libero, che non abbiamo saputo cosa siano la guerra, la fame, la morte, la prigionia, il coprifuoco, le corse nei rifugi al suono dell’allarme, la nostra terra invasa dai nazisti, le leggi razziali, il campo di concentramento… moltissimi di noi su quella nostra storia non possono permettersi di parlare. Non c’eravamo e non sappiamo niente di quel dolore, se non perché ce l’hanno raccontato magari i nostri nonni, i nostri genitori.
I miei nonni paterni e due miei zii ancora bambini sono restati una giornata intera, assieme ad altri civili in Val d’Ossola, sotto i fucili spianati di un plotone di camicie nere, perché antifascisti dichiarati, italiani che non avevano detto sì al regime. Mio padre diciassettenne ed un suo coetaneo, nel rione varesino di Valle Olona, una domenica mattina del ’44, mentre andavano alla prima messa ed erano in ritardo, passando per una scorciatoia per fare più in fretta, hanno scampato una retata che ha portato via, in qualche lager, dei loro amici mai più ritornati. Erano gli anni dell’invasione tedesca nel nord del nostro Paese, quelli della miseria perché il governo di Mussolini aveva deciso di lanciare l’Italia nella catastrofe della guerra, nella convinzione che la Germania alleata sarebbe uscita vincitrice dal conflitto.
La nostra storia patria ha avuto poi una svolta chiara e decisa in senso antifascista e noi, tutti noi, siamo figli di quella cultura. Possiamo condividerla o meno, ma non possiamo rinnegarla, né toglierla dal nostro passato e dal nostro DNA collettivo. Ne godiamo i frutti democratici e l’esistenza stessa delle istituzioni deriva da lì. La guerra è stata voluta dal fascismo, l’alleanza con i nazisti è stata voluta dal governo fascista, le conseguenze per i cittadini, donne e uomini di ogni età, sono state determinate da quella alleanza e da quella entrata in guerra. L’Italia poi ha voluto che il fascismo e la distruzione che aveva seminato in ogni città della nostra nazione fossero aboliti per sempre, tanto da scriverlo chiaramente nella propria Costituzione.
Ogni guerra ha conseguenze imprevedibili e sempre semina morte, dolore, sofferenza e distruzione. Estrapolare quindi l’intervento anglo-americano dallo scenario della guerra di liberazione dal nazismo è un errore storico. I cittadini di Varese morti sul colle Campigli, cui è stata dedicata una lapide la scorsa settimana ritenendoli vittime dei bombardamenti inglese ed americano, sono degni di una dignitosa memoria da parte di ciascuno di noi. Ma vanno ricordati, come i tanti altri civili e come i partigiani, vittime di una guerra assurda nella quale il Duce ha coinvolto un’intera nazione, vittime della successiva guerra di liberazione dall’esercito nazista, unico vero invasore del nostro paese.
Varese deve ricordare degnamente tutti i morti del secondo conflitto mondiale in quanto cittadini che, in fase diverse del conflitto, hanno pagato con la vita la violenza che Mussolini ha voluto fosse seminata nel nostro Paese, con la dichiarazione di guerra del 10 giugno del ’40 e riducendo da subito l’Italia a miserrimo satellite della potenza tedesca. I morti di ogni guerra devono pesare sulla coscienza storica di chi quella guerra l’ha voluta.
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