Ritorno nei sotterranei della Radioterapia varesina dell’Ospedale di Circolo, per sottopormi al primo controllo oncologico, sei mesi dopo le ventotto applicazioni per un carcinoma prostatico. L’emozione è sempre la stessa. Cammino alla ricerca di quei visi che hanno accompagnato la mia avventura. Ritrovarli è un po’ come sentirsi a “casa”, dove umanità e scienza s’incontrano per restituire un’amabile ricerca di speranza. La dottoressa Roberta mi sorride e mi dice che ho l’occhio vivo, il dottor Lorenzo Cerizza mi conforta con un: “La trovo in forma”. Passa il primario, il dottor Paolo Antognoni, lo saluto. Attendo di essere chiamato dal dottor Cerizza per la visita. Cammino nel corridoio del meno 3 e mi soffermo nella saletta numero 2, mi sorprendo a osservare i poster appesi. Santa Caterina del Sasso troneggia un po’ dappertutto. Un breve excursus di ricordi passati e recenti, intrecci di situazioni e di sentimenti che s’incontrano di nuovo, animati da un comune filo conduttore. L’Eremo mi rimanda al video filmato prodotto e ai rapporti stretti con il mondo benedettino. Anche i poster hanno una loro funzione, rasserenano, scaricando le tensioni. Il dottor Cerizza m’invita a seguirlo nella sala visite. Mi fa le domande di rito e compila un questionario. La prima cosa che gli chiedo è quando potrò riprendere la bici da corsa. Lui non è contrario, ma preferisce allungare i tempi. La visita? Tutto ok, nel frattempo devo continuare la cura fino al 7 marzo, data della prossima. Sono felice. chiedo al dottore se alla fine del turno, può riservarmi un piccolo spazio di tempo per una breve intervista.
Dottore, la Radioterapia è un settore in evoluzione?
L’introduzione dell’informatica e della diagnostica per immagini soprattutto, hanno permesso di fare il passo decisivo. L’aver associato la tecnologia alle metodiche tradizionali, naturalmente migliorate, ha permesso di fare un ulteriore salto di qualità.
Chirurgia oncologica e radioterapia operano spesso in sintonia?
Non c’è più una settorialità, nel senso che oggi vengono sempre più prese in considerazione le strategie integrate di trattamento, che nascono spesso da discussioni collegiali multidisciplinari dei casi clinici, più figure infatti interagiscono per definire le strategie più adeguate.
Quanto conta la collaborazione?
È fondamentale, direi indispensabile. Oggi non c’è più chi decide, in prima istanza, per le possibilità di trattamento, anche perché da parte dei pazienti c’è una maggiore attenzione e anche una maggiore conoscenza di ciò che la specialistica è in grado di offrire. La tecnologia informatica gioca un ruolo decisivo nell’acquisizione delle migliori possibilità terapeutiche, per cercare di integrare la parte che riguarda i risultati, ma pensiamo a tutto il discorso dei trattamenti conservativi, come il tumore della mammella, ad esempio. Una volta si procedeva a una vera e propria demolizione, attualmente si va sempre di più verso il conservativo.
Come avete fatto a essere così puntuali in piena pandemia?
Non abbiamo ridotto nulla per quanto riguarda le cure, trattandosi di cure ben definite, salvavita e comunque trattamenti assolutamente necessari, certo tutto questo ha comportato anche dei problemi di natura organizzativa. Si è cercato di frazionare gli accessi, offrendo comunque un trattamento qualitativo in termini di efficacia, paragonabile a quello tradizionalmente più dilazionato nel tempo.
Torniamo al Reparto. Chi l’ha provato, come il sottoscritto, si è trovato molto bene. Da che cosa dipende l’operatività della squadra?
Nel Reparto cerchiamo di cooperare, di non perdere mai di vista la persona nel suo complesso, cerchiamo soprattutto di fare prevalere sempre l’umanità del rapporto, oltre che l’applicazione nella sua accezione più corretta dal punto di vista tecnico e scientifico. Quando una squadra ha ben chiari i propri punti di forza interagisce positivamente, senza perdere mai lo slancio e una buona dose di entusiasmo professionale, che va a tutto vantaggio dei pazienti.
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