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Stili di Vita

L’ATTESA

VALERIO CRUGNOLA - 24/09/2021

attesaL’attesa è la dimensione quotidiana dell’animo umano. Tutti la conoscono, pochi ci fanno caso.

L’attesa non riguarda la volizione, il fissare obiettivi, scopi o passaggi. L’attesa ordinaria consiste nel tempo necessario al compiersi di un evento, come quello speso in luoghi deputati: la sala d’aspetto di una stazione, un ambulatorio. Questa attesa, con le sue sospensioni momentanee, le pause, i vuoti forzati, è generatrice di creatività, libera fantasie, nessi, ideazioni, dialoghi immaginari. Ma l’attesa di un lavoro, di una lettera, una chiamata o un segno d’amore, quella “dolce” della madre, l’adempiersi o il dissolversi di un desiderio marcano la distanza tra il banale arrivo di un treno e quello emotivamente carico di un figlio.

Furono filosofi come Kierkegaard, Husserl, Heidegger, a indagare l’attesa come manifestazione della coscienza, diradando le nebbie del senso comune. L’attesa, dal latino “tendere ad”, ci prolunga verso un’aspirazione che vorremmo portare a compimento, o che teniamo comunque nel mirino. Aspettiamo l’evento che ci consentirà di intraprendere qualcosa. L’attesa è un ponte in costruzione: un prospetto, un abbozzo, un presagio. L’architetto è la speranza. Lo sguardo anticipatore si getta nell’ignoto. L’incerto ora si dilata e restringe, ora si accentra e sfuoca. Quando l’ignoto si dissolve e l’oggetto atteso appare disponibile o irraggiungibile, il futuro si schiude e genera nuovi ponti.

Vi sono altre due attese. Quella mistica è paziente, si prepara nell’esercizio e accompagna l’intero percorso di una vita. L’incessante desiderio all’opera cerca la luce assoluta nella prossimità all’essere o nella presenza di Dio. È la sorella che conforta, allevia, rinnova ogni promessa. Invece l’avvisaglia della morte è una sorella inquietante. Quando la morte si fa avanti ed è a portata di sguardo, la sua attesa marca il passaggio dalla certezza indefinita della mortalità al non esserci più. La caduta dell’idea dell’eternità dell’io tra i moderni allevia la grevità del pensiero della morte, consente un continuo posticipo. La rassegnazione al nulla facilita l’esistenza quanto la fede. Religione e nichilismo filosofico stringono un sodalizio paradossale.

L’attesa appartiene al “già e non ancora”, a liminari transizioni esistenziali. Ne parla Ernst Bloch. Già, perché l’attesa si indirizza a qualcosa, ma quel qualcosa non è ancora, resta ignoto o a malapena intravisto, focalizzato, riconosciuto. L’attesa è un varco esistenziale tra il restare qui da cui si avvia, e il volgersi a un compimento andando a tentoni.

L’attesa dà al tempo che arriva la forma della durata, che ipoteca l’intero arco gettato verso il futuro. È, secondo Husserl, la fonte di ogni esperienza della successione temporale. Ma non è una successione indefinita. Se così fosse l’attesa della morte soffocherebbe ogni altra attesa. È un sostare nell’imminenza. Solo quando ogni possibile sfuma, si accorcia, restringe e avvicina al limite estremo, ci rassegniamo allo svanire senza ritorno del mondo e di ogni cosa o rapporto, e l’attesa si trasforma in abbandono, remissione o resa.

L’attesa si apparenta al piacere e al dolore. Reca una fremente serenità o suscita ansie patogene Non l’atteso, non la festa ma il suo pensiero, la prefigurazione della gioia ci fanno felici, come nel leopardiano Sabato del villaggio. La cosa della gioia non sussiste. L’attesa si affaccia sull’abisso delle possibilità. Nel mentre pialla con delicatezza e addolcisce, smussa lo stupore, la meraviglia, ciò che sorprende e perturba. All’estremo opposto, ci consegna impreparati alla paura, alla disillusione, al rimpianto, alla colpa. I due risvolti oscuri dell’attesa, quando non il rovescio, sono l’angoscia e la disillusione, la culla di ogni stato depressivo. Il dolore nelle carni verrà dall’incompiuto, l’inadeguato, il disatteso, da ciò che abbiamo sciupato o perso per strada o mandato in frantumi. L’attesa dolente consiste nel continuo ritorno del rimorso per le possibilità perdute.

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