È interessante leggere la recente sentenza della Cassazione sull’esposizione del Crocefisso nelle aule scolastiche che non sarà più un obbligo, ma il frutto di una decisione a maggioranza “variabile” degli utenti, equiparandolo ad altri simboli religiosi sul piano della parità e partendo dal principio della laicità dello Stato.
Non entro nel garbuglio giuridico dal quale i Supremi Giudici riescono abilmente ad uscire con una sentenza più o meno pilatesca e che comunque può essere interpretata in modo diversi e contrapposti, resta il fatto che è un esempio in più per sottolineare come la tendenza della nostra giurisprudenza prosegua verso un affievolimento del concetto di “appartenenza” riguardo a una identità “nazionale”.
Alla fine non si nega l’esposizione di un crocefisso che un docente musulmano aveva contestato, ma si permette che nell’aula ci siano anche altri simboli religiosi per accontentare tutti. Un principio democratico, indubbiamente, ma che sottolinea come di fatto il nostro paese è sempre più disponibile a rinunciare alla propria identità storica in nome della democrazia, ma non impone mai agli altri di uniformarsi.
Alcuni esempi mi portano a pensare che questo non sia sempre positivo, ma anzi diventi un elemento contraddittorio.
Davanti a casa vedo spesso una famiglia musulmana “integralista” composta da un gruppo di donne circondate da una nidiata di figli che ostentano un burqua nero integrale dal quale traspaiono solo gli occhi.
Non mi permetto di contestare il loro abbigliamento, ma – oltre a domandarmi se non si dovrebbe poter garantire comunque il loro riconoscimento per motivi di sicurezza – mi pare legittimo chiedermi a quali pressioni sono (forse) sottoposte quelle donne per andare in giro vestite così. Condividono la scelta, oppure è stata a loro imposta? Se l’abbigliamento è imposto, una società laica non dovrebbe “liberarle”?
Come si può da una parte volere l’integrazione e poi si permettere comportamenti di assoluta spaccatura con la comunità circostante? Consentendo quegli abiti visibilmente si costruisce un muro tra quel gruppo di donne rispetto a chi passa per strada, non certo costruendo i ponti che vengo sempre invocati.
Questo atteggiamento di morale pubblica è proprio curioso: siamo invitati a spossessarci progressivamente delle caratteristiche proprie della nostra identità per “aprirci”, mentre altri possono invece restare “chiusi” e nessuno li critica, anzi, viene criticato – e magari definito razzista – chi (come me) solleva il problema.
Se io, cattolico, volessi il Crocefisso esposto non posso pretenderlo, ma se il musulmano ostenta un abbigliamento che urta la mia sensibilità lui può comunque ostentarlo: è un principio equo?
Tutte queste domande si concretizzano in una serie di paradossi pratici, ma mentre si spinge la comunità a farsi sempre più scrupoli sul “politicamente corretto”, i media non chiedono mai ad altri di avere verso i nostri costumi un minimo di reciprocità, almeno sul nostro territorio visto che è impensabile chiedere rispetto nelle aree musulmane per i principi o le pratiche cristiane.
Una comunità si trova collegata da tutta una serie di principi etici, etnici, religiosi, di consuetudini, lingua e costumi comuni: se si recidono i fili ad uno ad uno la comunità non esiste più e vincono altre comunità inossidabili ad ogni cambiamento e che spesso impongono con la forza o la violenza le proprie caratteristiche etnico-religiose.
Vale soprattutto nei confronti del mondo musulmano verso il quale – da laico – noto come i vertici della Chiesa cattolica da qualche anno sembrano vivere una condizione di inferiorità psicologica incredibile ed ingiustificata. Ribadisco: non si deve odiare nessuno e tantomeno il “diverso”, ma perché non si deve avere anche il “coraggio dell’appartenenza” denunciando anche i soprusi altrui verso i cristiani in una infinità di circostanze, così come le assurdità di tanti comportamenti islamici integralisti?
Credo sia giusto pretendere un po’ di chiarezza: non basta condannare il kamikaze di turno o genericamente la violenza, se poi le comunità islamiche italiane tacciono sempre sulle questioni scottanti.
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