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Pensare il Futuro

CHE NUCLEARE

MARIO AGOSTINELLI - 17/09/2021

fusioneC’è qualcosa che l’energia nucleare e il diamante hanno in comune: sono “per sempre”. Ma se nel caso dei diamanti la cosa è positiva, nel nucleare no. Per questo risulta sempre più sorprendente che il ministro Cingolani – cui è stato assegnato il dicastero della Transizione Ecologica – si sia messo a parlare, ovunque lo potesse fare, della convenienza del ritorno del nucleare in un Paese – l’Italia – che lo ha seppellito con due referendum. Per confondere gli interlocutori, parla a volte di “piccoli reattori a fusione” a volte di “fusione nucleare” che sarebbe a portata di mano. Vediamo un po’.

I cosiddetti Small Modular Reactors (come quelli installati su navi e sommergibili da guerra degli Usa e della Russia) e sponsorizzati dalla Francia, che sta bloccando da un anno le trattative in Europa sulla applicazione della “tassonomia” degli investimenti verdi, dovrebbero essere meno rischiosi di quelli giganteschi oggi in funzione. Ma questo non toglie che le scorie, assolutamente ineliminabili in tempi storici, verrebbero disseminate un po’ ovunque come lascito di tanti piccoli impianti. Pertanto, il concetto di rischio in un Paese come l’Italia sismico, idrogeologicamente dissestato e anche un po’ vulcanico, come si potrebbe definire accettabile con qualche centinaio di accantonamenti di scorie radioattive su tutto il territorio nazionale? Cingolani dice che potrebbero essere poche, un po’ qui e un po’ là, ma dimentica che avrebbero una pericolosità elevatissima, diffusa anziché concentrata e, quindi, di difficile controllo. Basterebbe leggere gli allarmi dell’IEA o dare un’occhiata al mare di Fukushima o alle brughiere di Chernobyl: i prodotti della fissione nucleare non c’entrano per nulla con un’energia di transizione!

Ma il nostro ministro sa saltare di palo in frasca: c’è – dice – un’altra forma di energia nucleare, la fusione termonucleare, quella che alimenta le stelle.

La produzione di energia da fusione è stata perseguita, dalla seconda guerra mondiale in poi, in eccellenti laboratori nazionali e università di tutto il mondo, senza però dare una chiara indicazione del suo potenziale per la produzione energetica.

Sulla terra ci sono due modi per bruciare il combustibile nucleare della fusione: farlo reagire molto rapidamente prima che il gas si raffreddi espandendosi, come avviene nella bomba H, o mantenere il gas caldo isolato dal mondo esterno con un campo magnetico ad elevatissima intensità. In questo caso, il reattore, a forma di ciambella, ha un diametro di almeno 30 metri e un’altezza di 20. È un dispositivo estremamente complesso, molto più sofisticato di un reattore nucleare a fissione altrettanto potente, e circa 10 volte più grande in volume.

Sono, cioè, inevitabili grandi dimensioni e una centralizzazione del sistema energetico molto più elevata di quella odierna.

L’attuale panorama delle rinnovabili, invece, prevede produzione industriale di generatori relativamente piccoli: mulini eolici da pochi MW, pannelli solari fotovoltaici da poche centinaia di watt. Questi generatori possono essere costruiti efficientemente in fabbrica, trasportati sul luogo di impiego e, ancora più interessante, la velocità del loro sviluppo industriale è inversamente proporzionale alla potenza del singolo modulo. In aggiunta, il costo dell’elettricità per fotovoltaico ed eolico (2-5 centesimi di €/kWh) origina solo dal costo del capitale investito nel generatore e nelle sue apparecchiature ausiliarie: il combustibile non costa nulla, viene dalla natura e dai suoi cicli.

C’è, inoltre, un secondo inconveniente molto rilevante legato alle grandi dimensioni del reattore a fusione: il suo tempo di sviluppo non è previsto inferiore ad almeno 50 anni da oggi. Proprio a causa delle sue grandi dimensioni e complessità è molto difficile immaginare che un reattore a fusione possa essere meno costoso del già poco attraente reattore a fissione convenzionale. Stime dettagliate pongono il costo del kWh a più di 12 centesimi, ancor prima di conoscere i dettagli di un reattore funzionante.

L’attuale consumo di energia primaria mondiale è superiore a diecimila GW e per fare una differenza sul totale si dovrebbero implementare migliaia di reattori da 1 GW, con la dimensione tipica dei giganteschi reattori a confinamento magnetico come quelli oggi in fase di sperimentazione.

Per ora le attuali energie rinnovabili sono notevolmente meno costose, e quindi più adatte al processo di decarbonizzazione in corso di un prevedibile reattore a fusione nucleare o di una serie dispersa di piccoli reattori a fissione.

Allora, che cosa è successo a Cingolani per non dirci come dovrebbe che i fondi del PNRR dovranno andare alle rinnovabili e al risparmio energetico, con una profonda riconversione di produzione e consumo?

Non si fa peccato a pensare che i suoi suggeritori stiano dietro i progetti già presentati da grandi imprese, le uniche considerate in grado di spendere in tempo utile i soldi in arrivo dall’Ue, cui dunque viene assegnata una corsia velocissima per le autorizzazioni, indipendentemente da quanto “verde” sia il modello che ne scaturisce. Così, la transizione energetica si farebbe pagare allo Stato, con gli investimenti in gas – che resta un fossile, anche travestito da idrogeno – un po’ di trivellazioni in mare e qualche favore ai metanodotti che arrivano da ogni dove, mentre lo specchietto del nucleare attira i più sprovveduti.

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