Mancano solo tre settimane al voto amministrativo. Le urne possono dare qualche indizio sulla salute dei partiti? Si, ma senza esagerarne la portata. Penso infatti che reputare le elezioni dei sindaci come un test politico nazionale sia fuorviante.
Non solo perché in questo modo si sottovaluterebbe il peso specifico delle città con le loro storie e tradizioni ma perché non si terrebbe in considerazione che il sistema elettorale è molto diverso. Alle amministrative abbiamo il maggioritario con l’eventuale ballottaggio e la figura dei candidati sindaci è decisiva. Alle politiche voteremo probabilmente con il proporzionale e avranno molto rilevanza anche le forze cosiddette “minori”.
C’è di più: le “liste dei sindaci”, quasi ovunque presenti, tolgono dei voti alla lista del partito del sindaco e questo va tenuto sempre presente.
Ne deriva un’importante conseguenza: i partiti centristi, come Italia Viva di Renzi e Azione di Calenda, ma non solo, alle comunali giocano quasi sempre un ruolo marginale, salvo a Roma con Calenda personalmente in campo, mentre il proporzionale delle politiche, che piaccia o no e a me non piace, ne aumenterà la visibilità e il peso specifico.
Un altro madornale errore dal quale guardarsi bene è considerare questo voto alla stregua di elezioni di medio termine, come avviene negli Stati Uniti e in molti altri Paesi. Le elezioni di “Mid term” misurano la salute del governo in carica. Ma di quale governo nel nostro caso? In questa disgraziata legislatura ne sono cambiati tre, tutti molto diversi.
L’unico elemento di continuità governativa è rappresentato dai vincitori del 2018, il M5S, in crisi di voti e dentro una difficilissima fase di ristrutturazione da Movimento anti sistema a forza di governo. In questa tornata amministrativa non sono nemmeno riusciti a presentare candidati e liste concorrenziali in molte realtà.
Detto questo, qualche considerazione politica è naturalmente possibile ma riguarda soprattutto lo stato di fatto delle coalizioni più che i partiti in sé. Il centrodestra, malgrado la concorrenza fra Meloni e Salvini, e grazie alla discutibilissima anomalia di decisioni prese a livello nazionale e non dai protagonisti territoriali, appare relativamente unito.
Ciò che avverrà fra il centrosinistra e il M5S risulta invece incerto, sotto tensione, ancora da decifrare completamente, malgrado la volontà convergente di Letta e Conte.
Prendiamo le quattro città più grandi. A Torino la contrapposizione fra centrosinistra e M5S è profonda e tale da rendere probabile la vittoria del centrodestra. A Bologna si può invece immaginare la riconferma del centrosinistra con l’appoggio di Conte e Di Maio. Anche a Napoli ci sono tutte le premesse affinché l’alleanza Pd-M5S possa vincere. A Milano è prevedibile che nell’eventuale secondo turno i cinquestelle possano votare Sala ma senza apparentamento.
Il nodo più aggrovigliato riguarda comunque Roma capitale. Se al ballottaggio andassero Gualtieri (Pd) e Michetti (Destra) cosa farebbero in questo caso Carlo Calenda e Virginia Raggi? Ecco la domanda politica chiave di queste elezioni con un senso anche per il 2023.
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