E’ stato davvero impressionante il filmato sull’incendio della Torre dei Moro a Milano. Più che un edificio di cemento sembrava che bruciasse un edificio di carta.
Grazie al cielo non c’è stata la perdita di vite umane, ma gli abitanti della Torre hanno perso tutto quanto possedevano e conservavano.
Questo incendio ha illuminato la città di Milano, ma è stato visibile anche da chi procedeva anche in autostrada al di fuori della metropoli. Qual è la causa di tutto ciò?
Come fatto presente dal Sole 24ore che ha affrontato il tema non c’era stato al momento della costruzione della Torre il rispetto della normativa vigente. La normativa antincendio italiana non consente di trasformare un edificio, come la Torre dei Moro, in una torcia, mettendo in pericolo la vita di occupanti e soccorritori. E non lo consentiva nemmeno in passato (dunque nemmeno ai tempi della costruzione del grattacielo di via Antonini).
Tra i requisiti di base a cui un’opera da costruzione deve rispondere vi è la sicurezza in caso di incendio, che non può essere rispettata in pieno se nell’edificio non viene ostacolata la propagazione e la generazione del fuoco e del fumo all’interno o verso altri edifici. Il rispetto dei principi essenziali del Regolamento contrasta anche con la possibilità che parti della facciata, prendendo fuoco, possano staccarsi mettendo a rischio la vita dei soccorritori e le fasi di esodo. Ed ancora, il Dlgs 139 del 2006 ricorda che, in campo antincendio, le soluzioni tecniche devono ben tener presenti tre obiettivi primari: la sicurezza della vita umana, l’incolumità delle persone e la tutela dei beni e dell’ambiente. E, se non bastasse, esistono dal 1987 le norme per la sicurezza antincendio degli edifici di civile abitazione (Dm 246 del 16 maggio) di altezza antincendio pari o superiore a 12 metri che obbligano alla suddivisione dell’edificio in compartimenti, ossia in “scatole” che inglobano anche più piani, costituite da prodotti o elementi costruttivi idonei a garantire, sotto l’azione del fuoco e per un determinato intervallo di tempo, la resistenza al fuoco della struttura. Semplificando, la normativa non permette di progettare e realizzare un edificio in cui in pochi minuti il fuoco possa propagarsi da un piano all’altro coinvolgendo addirittura l’intero immobile.
Ora che si sta provvedendo, in base alle agevolazioni edilizie previste dallo Stato, alla ristrutturazione di parecchi edifici da parte dei proprietari, sarebbe molto importante che vi possa essere un pregnante controllo da parte del Comune sulle opere approvate.
Il Sole24ore conclude specificando che per la realizzazione di un «cappotto» o di una facciata ventilata, il decreto obbliga al soddisfacimento di tre obbiettivi: evitare che attraverso la facciata l’incendio possa coinvolgere i compartimenti adiacenti a quello di primo innesco; limitare la probabilità che una facciata possa incendiarsi a causa di un fuoco di origine esterna, e qui va considerata l’esposizione diretta alle fiamme e anche la propagazione per irraggiamento; evitare che parti di facciata nel cadere possano compromettere l’esodo in sicurezza e l’intervento delle squadre di soccorso. È chiaro che se si verifica la condizione stabilita dal Dm del 25 gennaio 2019 (intervento che incide per oltre il 50% della superficie delle facciate) bisogna attestare la rispondenza all’obbligo normativo e occorre la Scia (e anche la valutazione del progetto per i condomìni in categoria B o C se c’è aggravio di rischio). Va ricordato, infine, che Il Comitato centrale tecnico scientifico (Ccts) dei Vigili del Fuoco ha approvato in via definitiva, il 15 giugno, la nuova regola tecnica verticale per la sicurezza antincendio delle facciate e delle coperture di edifici civili.
Arturo Bortoluzzi
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