Nel marzo 1919 fu indetta una riunione nella casa prepositurale varesina per ampliare la basilica di san Vittore. Abbiamo un resoconto della riunione steso da uno dei partecipanti, monsignor Luigi Lanella, presente “quale… [suoi i puntini] mezzo segretario del prevosto”. Questi era monsignor Ceresani che occupò la carica dal 1915 al 1929.
Oltre al prevosto ed a monsignor Lanella parteciparono il presidente della Fabbrica di san Vittore, nobile avvocato Giulio Besozzi, il cavalier Giuseppe Agazzi Rota della stessa Fabbrica, l’ingegner Paolo Cantù e due architetti di Milano.
Tre furono i progetti esaminati: mentre i primi due furono subito respinti in quanto prevedevano la demolizione di buona parte della chiesa con una spesa “colossale”, il terzo fu preso in considerazione.
Fu eliminata la parte del progetto che proponeva la demolizione della sacrestia, dei locali annessi ove erano collocati i mantici e gli accessori per gli organi per allestire un corridoio della larghezza di una navata minore che girasse dietro il coro esistente. L’ampliamento ottenibile non era gran cosa e non permetteva poi la vista dell’altare da parte dei fedeli.
La parte ritenuta fattibile prevedeva l’allungamento della basilica verso la piazza per una lunghezza corrispondente a quella tra la facciata ed i primi piloni del transetto; si sarebbero potuti aggiungere quattro altari, due per parte, e quattro nuovi confessionali. La chiesa sarebbe risultata quasi raddoppiata per lunghezza e per capienza e la piazza sarebbe stata quasi tutta occupata.
Prima di questa riunione sembra vi fosse stato un accordo con le autorità civili che prevedeva la possibilità di eliminare l’ Arco Mera, da ricostruirsi in altra sede, per formare una sola piazza tra quanto rimaneva di quella di san Vittore e la prospiciente piazza Podestà.
Il progetto piacque in prima battuta ma poi sorsero dubbi poiché le enormi spese che sarebbero state sostenute dalla Fabbrica non avrebbero lasciato fondi per adornare le pareti che sarebbero rimaste spoglie per lungo tempo. Altra perplessità era data dalla poca altezza del manufatto che ingrandito sarebbe risultato ancor più basso.
“In definitiva la nuova basilica sarebbe riuscita uno sgorbio, e perciò indegna di Varese; era preferibile tenere l’antica come era e cercare di ovviare all’affollamento, allora specialmente alla S. Messa festiva delle 11,30, celebrandone un’altra verso le 12”. Così il cronista del tempo.
Nella descrizione di monsignor Lanella troviamo una curiosa annotazione:
“Ad ovviare poi al malvezzo dei varesini di fermarsi abitualmente in fondo alla chiesa, il sacerdote celebrante nelle ore di punta avrebbe dovuto insistere, all’inizio della messa o prima della predica, perché i fedeli si portassero verso il centro, allora come oggi [1967] ricco di posti liberi, evitando così l’ingorgo delle entrate”.
Nel 1927 Varese divenne provincia e nel 1929 ci furono la Conciliazione ed i Patti Lateranensi che lasciavano pensare che i confini delle diocesi dovessero coincidere con quelli delle provincie: si pose quindi la necessità di erigere un duomo degno di questo nome stante la “piccolezza” della basilica. Con il coinvolgimento delle autorità civili si pensò di erigere la nuova chiesa in piazza Monte Grappa che stava per essere liberata da “catapecchie, viuzze ed anditi”, per adattarla alle nuove esigenze urbanistiche.
Poiché Varese non fu elevata a diocesi, tutti progetti furono accantonati e la città mantenne il suo cuore religioso nel “bel San Vittore” col suo magnifico campanile.
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