Un sindaco si giudica da quel che fa. Come lo fa. Con chi lo fa. Per riconfermarlo vale il confronto coi predecessori; per sostituirlo, la credibilità del candidato all’alternativa. Il passato aiuta il presente in prospettiva futura. Ecco una storia esemplare.
Il 7 novembre 1898 diventa primo cittadino di Varese il dottor Gerolamo Garoni. Nato nel 1835, appartiene a una famiglia illustre, studia da specialista l’ottimizzazione dell’agricoltura, dispone d’esperienza amministrativa. Ha svolto le funzioni interinali di sindaco tra l’85 e l’88. Oltre che di buona parte dei varesini, gode della fiducia di chi gli è stato compagno di banco consiliare. Un’impresa brilla fra le tante, compiuta assieme a Giacomo Limido e Eugenio Maroni Biroldi: la nascita del Grand Hotel Excelsior di Casbeno. Acquistata la villa Recalcati Morosini, viene trasformata in albergone di 145 stanze. Comprato lì vicino un ampio terreno, vi s’impianta il primo ippodromo locale. Imperatori, re e regine; scrittori, scienziati e artisti frequenteranno l’Excelsior e le tribune attorno alla pista. Il giornale francese “Touriste” annota: Varese, un sito principesco. Per edifici, ambiente, accoglienza. L’aspetta un avvenire radioso.
Va così, al netto della retorica. Il primo decennio del Novecento segna il rinascimento bosino. In breve: un’Esposizione internazionale propaganda il nome della città, trovano realizzazione le funicolari del Sacro Monte e del Campo dei fiori; s’innalzano sontuose dimore con parchi (le ville Mylius, Bernocchi, Toeplitz, Sacchi, Finzi, Trolli, De Vincenti); sono tracciate e rese operative le tramvie di collegamento dal centro a Bizzozero, Bobbiate, Azzate; riceve impulsi strategici l’industria, guidata dalla Conciaria Valle Olona, dal Calzaturificio di Varese, da valigerie, aziende grafiche, empori alimentari e dolciari, ditte specializzate nell’edilizia. Eccetera.
Il Garoni presiede a questo bendidio d’iniziative, che un ispirato cronista dell’epoca definisce “marcia trionfale”. Dopo dodici anni d’immane lavoro, e nonostante l’assemblea municipale lo riconfermi, si dimette. È il 30 luglio 1910. Stabilisce un primato che sarà battuto solo da Mario Ossola tra il ’64 e il ’77 e da Domenico Castelletti, prima sindaco e poi podestà, tra il ’26 e il ’44. Quando muore, il 14 gennaio 1918, la ‘Cronaca Prealpina’ di Giovanni Bagaini gli attesta, con tocchi emozionati, qualità di “…grande elemento di coesione. Attorno a lui taceva ogni dissenso; la sua parola, sempre nobilmente alta e gentile, era ascoltata con reverente devozione; le energie tutte, anche se dissenzienti fra di esse, si polarizzavano verso di lui per convergere ad un solo e nobile fine: il bene di Varese”.
Proprio vero, tarata l’enfasi. Anche gli avversari ne apprezzano le doti di mediatore. Ascolta, comprende, utilizza le idee altrui per finalizzare le proprie. Chiede il tempo necessario al progetto d’opere e al loro completamento. In virtù della rara sapienza politica, gli si concede una sequenza di mandati. Vien capito che un sindaco si giudica da quel che fa. Come lo fa. Con chi lo fa. La lungimiranza è premiata. Il Garoni lascia una Varese più ricca e promettente di quella ricevuta in dote. Gli siamo riconoscenti ancora oggi, e idem verso l’intuizione pragmatica d’antenati che possedevano il pregio della saggezza. Tramandando ai posteri la buona idea di scegliere sempre un dottor G.
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