Non c’è il tempo di archiviare con grande onore per l’Italia la sedicesima edizione del campionato europeo di calcio che subito il mondo sportivo guarda alle 23me Olimpiadi che tra luglio e agosto vedono impegnati in Giappone atleti di tutto il mondo.
Al di là degli aspetti strettamente agonistici questi avvenimenti hanno anche un significativo valore economico. Soprattutto in un momento come l’attuale, in cui dopo più di un anno di lotta alla pandemia, è volontà comune quella di riprendere la strada della crescita anche come base di una sempre maggiore equità sociale.
Qualcuno si è spinto temerariamente a misurare l’effetto sul Pil della vittoria italiana a Londra accreditando una spinta tra lo 0,7% e l’1%, il che tradotto in soldoni vorrebbe dire circa 15 miliardi di euro di ricchezza aggiuntiva. Una previsione che anche se si dovesse avverare sarà comunque difficile da dimostrare dato che gli innegabili effetti positivi si divideranno in mille rivoli quasi impossibili da misurare.
C’è comunque un primo aspetto importante da sottolineare: la fiducia per un ritorno alla normalità, nonostante gli allarmi per l’avanzare delle pericolose varianti del virus. È significativo che tutte le partite degli europei si siano svolte finalmente alla presenza di pubblico pur senza sfruttare la capienza massima degli stadi. Sono state partite quasi normali senza più quell’inquietante prospettiva delle tribune vuote e angosciosamente silenziose.
E questo ha fatto crescere anche l’indotto, cioè i viaggi, gli alberghi, l’acquisto di prodotti particolari. E peraltro dato che le squadre, così come molti tifosi, hanno dovuto viaggiare in tutta Europa gli organizzatori hanno promesso che il maggior inquinamento prodotto dai voli sarà compensato con la messa in dimora di 600mila alberi.
I ricavi dei biglietti sono stati nettamente inferiori a quelli delle scorse edizioni, ma il calo degli introiti è stato almeno in parte compensato dalla crescita dei diritti televisivi, della cessione del marchio, dalle sponsorizzazioni. Il giro d’affari complessivo è stimato vicino al miliardo e mezzo di euro, un buon 20% in meno della precedente edizione, quella del 2016 che si era svolta in Francia e che era stata vinta dal Portogallo.
Ma gran parte degli effetti economici resteranno indiretti e nascosti. Soprattutto se i grandi successi individuali e di squadra riescono a diventare un esempio per sollecitare la diffusione delle attività amatoriali con impatti fortemente positivi sulla salute pubblica e quindi sul contenimento dello spese sanitarie.
Qualche anno fa è stato pubblicato un Libro Bianco dello Sport italiano, sulla base d una ricerca dell’Università Bocconi, dove era stato messo in evidenza l’impatto della pratica sportiva sulla spesa sanitaria nazionale, con una stima di una beneficio annuo dello Stato di circa 1,5 miliardi di risparmio sulla spesa sanitaria nazionale e di circa 32 miliardi di “valore della vita salvaguardato” (cioè di impatto positivo della minore incidenza delle malattie e degli infortuni).
Ma visto da un economista lo sport, in particolare quello professionistico, ha anche caratteristiche originali. È vero che in molti paesi le maggiori società sportive, soprattutto nel calcio, sono quotate in Borsa e quindi rispondono alla stessa logica finanziaria di tutti gli altri gruppi, ma è altrettanto vero che spesso nel controllo di queste società ha un peso rilevante la passione, la volontà di conquistare un’immagine positiva, la logica di una sfida a livello sociale.
Il prodotto sportivo poi per essere posto sul mercato ha bisogno della collaborazione e insieme dello scontro con altre imprese dello stesso tipo. Tutto all’interno di regole precise e di arbitri che le facciano rispettare.
Nel suo complesso lo sport professionistico risponde tuttavia alle regole del mercato, anche a quelle che suscitano insieme invidia e perplessità: come gli alti compensi dei campioni e dei grandi manager di banche e società private. Molto spesso siamo di fronte a insostenibili esagerazioni. Con due attenuanti che sono anche due condizioni. La prima è che paghino le tasse (e non sempre avviene) e nello stesso tempo aiutino la crescita delle aziende e, grazie alle loro innovazioni, dell’economia nel suo complesso. La seconda è che, per quanto riguarda lo sport, ci facciano almeno appassionare e divertire. E almeno questo risultato la Nazionale di calcio questa volta lo ha raggiunto.
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