Mentre Gesù sta andando verso Gerusalemme, seguito da una folla numerosa, pur notando che la sua predicazione ha successo e che i suoi ascoltatori pronti ad accompagnarlo lungo la strada sono molti, guardando in faccia quella folla rivolge a tutti alcune parole al fine di fare chiarezza e di non permettere illusioni o addirittura menzogne, dato che vuole accanto a sé discepoli, non militanti.
Parlando a tutti, chiede a chi vuol diventare suo discepolo un prezzo da pagare. Prima condizione: per andare dietro a lui bisogna essere pronti a lasciare persino le persone più care; in altre parole bisogna preferire Gesù ai nostri di casa.
Gesù vuole ricostruire la vita di comunità; lui conosce benissimo il cuore umano, il potere dei legami di sangue, la possibilità che la famiglia sia come una gabbia. Per questo chiede di superare la visione ristretta della piccola famiglia che si chiude in se stessa e chiede alle famiglie di aprirsi e di unirsi tra di loro, per costituire un’unica grande famiglia, la comunità.
Gesù stesso, quando i suoi vorranno riportarlo a Nazaret per allontanarlo da chi gli era avverso, ignora la loro richiesta e mostra la sua nuova famiglia, fatta da coloro che compiono la volontà di Dio. Dunque i vincoli familiari non possono impedire la formazione di una nuova esperenza di chiesa.
L’intenzione sottesa alle sue parole consiste nella liberazione che Cristo vuole portare a ogni uomo e ogni donna, da tutte le potenze idolatriche. Non possiamo amare tutti nello stesso tempo, ma solo dando ai nostri amori un ordine chiaro sappiamo dov’è il nostro tesoro e dunque il nostro cuore.
In realtà non è questione di quantità (“se uno non mi ama più che il padre e la madre”), ma di qualità dell’amore. Il cammino della vita nuova, che percorriamo seguendo le tracce del Signore, porta ad amare tutto e tutti in lui. E’ ancora e sempre il primo e più grande comandamento: amare Dio con tutto se stessi e il prossimo come se stessi. La Pasqua di Cristo ne è il paradigma!
Seconda condizione: la legge dell’amore è dare la propria vita per l’altro; anche se ciascuno ha la sua croce da portare, in base alla storia delle relazioni, degli affetti, delle vicende e dei sentimenti. E’ chiaro che una cosa simile – non umanamente possibile – è dono di Dio, frutto della sua grazia. Non si è discepoli per quel che sappiamo e riusciamo a fare, ma perché lui viene a salvarci ed a guidarci nella vita dello Spirito.
Essere discepoli di Gesù non è l’esperienza di un momento, una prova da verificare, ma è la decisione di rispondere a una chiamata, a un ‘amen’ detto con ponderazione e discernimento!
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