Per dirla come Draghi a Donnarumma: ‘ndo stai? Cioè: dove risiede il vantaggio non calcistico del trionfo di Londra? Banale: nella valorizzazione del marchio Italia. Ovunque e comunque. Con ricadute varie. L’importantissima: si stima un aggiuntivo +0,7 nella crescita del prodotto interno lordo. Significa aumento d’occupazione, salita d’esportazioni. Che si traducono in migliorato appeal del Paese. Che richiama curiosità, turismo, investimenti. Che pioveranno sul pianeta sport, allargandosi ad altri, tramite la catena degli sponsor. Che da anelli di numero X s’evolverà in anelli di numero Y e via esponenziando.
Mica poco. Mica male. Mica scontato, all’incipit del giugno scorso. Draghi, bravo di suo, ha fortuna. L’insieme fa vincere. Ovvio che: 1) riportare al successo l’Italia extrapedatoria dopo la pandemia sarà ben diversa impresa che conquistare la coppa alzata a Wembley. Sicuro che: 2) quel trionfo s’annuncia utile, anche grazie alla ‘modalità conquista’ cliccata da Mancini. Un top influencer ben oltre i Ferragnez. Ha inseguito -tornando a Draghi e al virus- il rischio calcolato di giocar bene per battere gli avversari. Non l’opposto: sconfiggerli pur facendo figura modestina. Una formula rivoluzionaria: causa spesso di danni, e invece oggi produttrice di benefici. Farà esempio/scuola/paradigma, mettendo in circolo un mood inestimabile: lavorare divertendosi. Ovvero con armonia, gusto, orizzonte. Messaggio di fiducia, specialmente ai giovani: ce la si può fare, con sacrificio, seguendo la strada maestra e non scorciando in vie periferiche. Che, spesso e d’un colpo, si rivelano impraticabili.
Non a caso il premier, incontrando gli azzurri a Palazzo Chigi, li ha ringraziati “…per averci messo al centro dell’Europa”. Non a caso, accogliendoli al Quirinale, il presidente della Repubblica li ha lodati “…per aver fatto felici milioni di persone, non solo in Italia”. Due battute, una comunicazione: anche il football (britan/brighellismo voluto) è uno strumento utile a ricomporre le gerarchie nell’Occidente non pallonaro. Giudicati l’ultima ruota del carro, ne stiamo diventando la prima: lo certifica la stima di cui gode il nostro presidente del Consiglio presso gli altri governi e la commissione di Bruxelles. Non sono semplici soddisfazioni. Sono complessi tornaconti. Che ci giovano. A Roma. E su e giù, lungo la penisola.
Anche qui da noi il dopo sarà meglio del prima. Varese in questi anni sta costruendo il suo “europeo” amministrativo, di partita in partita. Occasioni d’impegno sotto gli occhi di chiunque voglia aprirli: diffusi interventi di manutenzione, avvio d’opere nuove, riordino della macchina comunale, sensibilità sociale. Eccetera. Non sempre il meglio è risultato possibile, e tuttavia ci si va discostando da un evidente peggio, ricevuto in eredità dal passato. Ecco ’ndo sta” la ‘mancinità’ bosina, una regola di conduzione municipale che mira a sostanziare e progredire, augurabilmente includendo. Dichiara il candidato del centrodestra Matteo Bianchi di condividere lo spirito d’urbanesimo collegiale espresso dal sindaco uscente Davide Galimberti. È una bella notizia, che non merita di subire smentite. Chiunque perderà, non si tolga la medaglia d’argento dal collo.
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