Nel 1951 il Premio Nobel per la letteratura veniva conferito a Pär Lagerkvist, nato nel 1891 in Svezia da famiglia contadina e laureato a Uppsala. L’anno precedente era stata pubblicata l’opera sua più famosa, Barabba. Motivo principale della sua produzione giovanile l’angoscia di fronte alla morte. Si trattava di un pessimismo di fondo riconducibile alla lezione di Strindberg e all’espressionismo tedesco. Accesa invece in lui la reazione antinaturalistica. Evidente inoltre un’originale tecnica simbolista nel Segreto del cielo. Di un humor particolare risentono le Fiabe cattive nel confronto tra contingente e assoluto. Tumultuosa risulta la contraddizione dei sentimenti in Canti del cuore(1926) dedicato alla sua donna. Trascorre a un’analisi realistica dell’ambiente e dei personaggi in Spirito combattente. Perentoria è la sua difesa della cultura e dei suoi valori di fronte all’affermazione devastante del regime dittatoriale nazista di Hitler.
Così narrano i Vangeli: Per la festa di Pasqua era necessario che egli (Pilato) mettesse loro in libertà qualcuno. Tutti insieme i Giudei si misero a gridare “A morte costui! Vogliamo libero Barabba. Questi era stato messo in prigione per una sommossa scoppiata in città e per omicidio”. Per debolezza, viltà e opportunità politica Pilato, che non ha trovato nessun motivo di condanna in Gesù, nessuna delle colpe di cui l’accusavano i capi del popolo insieme ai sommi sacerdoti e ai dottori della legge colla plebaglia sobillata e aizzata, dopo avere per la terza volta riconosciuto l’innocenza di Gesù, nonostante la premonizione della moglie (“Nulla vi sia tra te e questo giusto, poiché ho molto sofferto in sogno a causa sua”), ne decreta la morte: “che fosse eseguita la loro richiesta “, liberando Barabba. Chiaro il deragliamento del processo, patente l’illegalità. Uno sciagurato ladrone di strada già dannato al supplizio, una vita di delitti e di sopraffazione vengono riscattati al prezzo del sangue del giusto per eccellenza (per caso o per mistero?). Cristo è il prezzo del riscatto per la vita di Barabba. Da questo momento i Vangeli e la storia non si occuperanno più di lui, di un suo possibile tormento interiore, che Pär Lagerkvist cerca di evocare erappresentare in termini di espiazione dal valore universale.
Barabba è l’Uomo per eccellenza, che ha salva la sopravvivenza per Cristo, ma non sa perché. È il primogenito dei salvati, come Stefano lo sarà dei martiri e la sua vicenda postuma ai innalza a una più vasta rappresentazione simbolica. A differenza della prima generazione di cristiani, Barabba è incuriosito, turbato, ma non sarà mai convertito. Si fa incidere per Lagerkvist una croce sulla piastraservile legata al collo sopra i caratteri che lo consacrano a Cristo Gesù, tenta di inginocchiarsi e di pregare accanto al compagno di pena Sahak, ma la sua natura selvaggia ripugna alla dottrina d’amore. “Amatevi l’un l’altro”. Appena condotto dinanzi al Procuratore romano, per sfuggire alla morte dichiara cinicamente dopo un primo silenzio: ”Io non ho Dio”, a voce sommessa. Il Procuratore si avvicina allora a Barabba, rivolta la sua piastra, prende uno stilo e colla punta sbarra in croce la scritta di Cristo Gesù. La sua logica rudimentale rifugge dal voler soffrire. In una solitudine animalesca e scontrosa rispetto alla società, soprattutto alle prime conventicole cristiane, questa è la sua fondamentale convinzione. Però, non del tutto disperato, all’ultimo istante, prima di spirare, le sue labbra aride mormorano parole simili a quelle di Cristo in croce: ”A te raccomando l’anima mia”. Ed esalò lo spirito. Sono i suoi occhi alla fine rivolti al cielo? Nel momento il poeta sembra suggerirlo, ce ne lascia la responsabilità.
Scene di grande potenza e assieme di convincente semplicità hanno preceduto quest’esito. Lagerkvist non è uomo di chiuse esegetiche e dottrine, concetti e definizioni, ma artista di profondae asciutta sensibilità nel cogliere i valori di una parabola esistenziale esemplare. Da quando l’Altro ha preso il suo posto sulla croce, Barabba diventa diverso. Se ne accorgono subito la Grassona, la vecchia amante e i compagni di grassazione. Non è più tracotante, non un facinoroso spavaldo.
L’equilibrio è spezzato per sempre. Assiste da lontano alla crocifissione e al tremendo spettacolo dell’oscurarsi del cielo, spia prima dell’alba il sepolcro per assicurarsi della resurrezione del Messia, ne ascolta i discepoli, venendone respinto e accoglie le confidenze di Pietro; non visto assiste alle segrete assemblee dei cristiani. Purtroppo non accoglie l’insegnamento del Maestro, allorché uccide con un coltello, con un gesto omicida, chi ha colpito una ragazzina cristiana, la Leporina, da lui resa madre e rivelatasi credente.
Il suo posto ai nostri occhi rimane quello appartato e solitario vicino ai suoi compagni di rapine davanti alla bocca dell’antro roccioso, che guarda giù nel burrone e sulle montagne arse di Moab, in quel mare sterminato che viene chiamato il Mar Morto, oppure sperduto tra le vie dell’Urbe con la cicatrice sotto l’occhio tutta rossa come il sangue, che coricatosi nel buio sente Il “Christòs Jesus”, sbarrato dalla croce, bruciargli come il fuoco contro il petto affannoso.
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