A sessantacinque anni, dopo oltre trecento vittorie, il podismo resta la sua arma vincente, per convincere i giovani che la bellezza esiste. Memorabile la sua impresa, la Corsa No Stop del 7 luglio 2007, conclusasi domenica 8 alle ore 11 e 15 al Rifugio Gnifetti, ricordando Michela Badalin.
Per capire Vittorio Ciresa, il maratoneta di Cuvio, l’uomo che il 7 luglio del 2007 ha percorso 149 chilometri, con 4800 metri di dislivello, Corsa No Stop da Laveno al Monte Rosa, per ricordare Michela Badalin, atleta cittigliese della 3V, morta durante una passeggiata sul passo Andolla, bisogna dimenticare per un attimo tutte quelle forme di agonismo sfrenato che occupano troppo spesso il campo delle emozioni, svilendone in parte l’immediatezza e la spontaneità. Chi ha avuto la fortuna di frequentare questo maratoneta, per amicizia o condivisione, si è reso conto di trovarsi di fronte a una persona molto attrezzata sul piano dei talenti e su quello delle risorse umane. Ci sono elementi che nel maratoneta di Cuvio si fondono e danno un significato particolare non solo al podismo, ma allo sport in generale.
Non è facile, infatti, unire insieme vocazione sportiva e vocazione sociale, amore per lo sport e amore per quei mondi che richiedono disponibilità umanitarie, in cui la persona occupa decisamente il centro. La sua esuberante carriera di podista varesino tra i più in vista non lascia dubbi sulle sue qualità, si tratta infatti di un atleta dotato di un fisico predisposto da madre natura per correre le maratone e le corse in montagna, vocazione la sua che si è evoluta col passare del tempo, lasciando spazio all’idea che lo sport avesse anche altre proposte importanti da contemperare e proporre, come ad esempio lavorare per gli altri, per il bene comune, rendendo più appagante e felice la vita di chi è stato meno fortunato. Nel suo traboccante cachet di vittorie accumulate su tutti i terreni, spuntano gare, primati e imprese, vissute sempre con una chiara predisposizione al carattere di promozione umana delle sue performance. Vittorio ha vissuto e continua a vivere il suo sport con tutto se stesso, proprio come quando raccoglieva lattine per pagarsi le trasferte o i campionati mondiali o come quando decideva di raccogliere fondi per i meno fortunati.
Straordinaria è la descrizione della No Stop di Corsa, Laveno – Monte Rosa: “Ho corso per un giorno e una notte senza fermarmi, affrontando ogni tipo di difficoltà: il freddo, la neve, la nebbia, il dolore fisico e quello mentale. Al cinquantatreesimo ho avuto una grave crisi, ho dovuto affidarmi esclusivamente alle mie risorse fisiche e psicologiche. Ho dovuto sopportare la bellezza di ventisette ore di autosufficienza alimentare, cercando tutte le risorse dei miei muscoli… Ad Alagna Carlo mi ha affidato la maglietta di sua moglie, quella che ha indossato l’ultimo giorno della sua vita. Era l’una di notte, mi apprestavo a salire la vetta del monte Rosa, affrontando ogni sorta di difficoltà, con l’orgoglio di chi sapeva di compiere un gesto importante per sé e per la memoria di una persona indimenticabile. Sono arrivato al rifugio Vigevano alle sei del mattino. Qualcuno mi ha detto: “Com’è”, la mia risposta è stata: “Andiamo avanti”. Sono arrivato al rifugio Gnifetti a 3600 metri, poi subito dopo ho dovuto dire basta a causa delle terribili condizioni del tempo. Dai duecento metri di Laveno ai 3600 di capanna Gnifetti, potevo ritenermi soddisfatto, l’unione ideale tra la Valcuvia e il Monte Rosa era diventata qualcosa di fisico e di sentimentale insieme, un vincolo destinato a rimanere nella storia sportiva delle nostre valli”. Nelle sue interviste si possono raccogliere pezzi estremamente interessanti sul piano umano, come quella volta in cui, parlando della gioia dello sport, mi confidò: “Qualcosa da rivedere nel nostro mondo sportivo ci sarebbe: i nostri atleti non sognano più. Credo che il sogno sia una cosa reale, dia la forza di andare avanti e di soffrire. La prima cosa che ho imparato quando ho iniziato a correre è stata la sconfitta. Improvvisamente mi è diventato tutto chiaro, ho capito il senso della vita. Non ho mai disprezzato l’atleta che arrivava dietro di me anzi, ho sempre cercato di stimolarlo perché diventasse più forte. Ancora oggi affermo che se non ci fosse l’ultimo, io non sarei nessuno.
A sedici anni ho vinto la maratona di Milano, una cosa che non avrei mai immaginato. Sognavo allora e adesso che ho cinquant’anni, sogno più di prima”. Nell’ultima intervista di pochi giorni fa, alla domanda: “Che cosa apprezzi di più della tua attività”, mi ha risposto: “La gioia di poter dare sempre qualcosa di più. Lo sport mi ha aiutato a essere quello che sognavo e questo non è poco. In una società che si lamenta sempre e che non è mai contenta io cerco di distribuire entusiasmo e gioia di vivere, cerco di dimostrare con i fatti che, in fondo, basta poco per essere davvero felici. La mia filosofia è semplice, va di pari passo con la vita, con le sue domande e le sue richieste, non amo tirarmi indietro, sono nato per fare quello che la mia anima e il mio cuore mi suggeriscono, lo sport è stato una grandissima occasione di crescita sportiva, umana e morale, lo ringrazio infinitamente, senza di lui sarei stato diverso? Non lo so, so soltanto che le soddisfazioni che ho provato insieme a lui sono state splendide e se dovessi tornare indietro rifarei tutto quello che ho fatto. La NO STOP DI CORSA LAVENO MONTE ROSA ricordando Michela Badalin, nell’ormai lontano 2007, è stata una impresa che mi ha fatto capire molte cose: l’amicizia, la donazione, la voglia di essere sempre puri dentro, mantenendo alta quella felicità che qualcuno ci ha regalato con grande amore, conservandola per i momenti difficili, quando la comprensione rivela la sua infinita voglia di verità”.
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