Da Prati a Tor Pignattara, dall’Aurelio a viale Liegi, dalla Casilina a la Pisana. Non c’è quartiere di Roma che non presenti in questi giorni un immondo (è proprio il caso di scriverlo) spettacolo di rifiuti che cadono da stracolmi cassonetti, di cartacce e plastica lasciati a terra, di liquami che attirano ogni genere di animali. Gli stessi cassonetti sono in gran parte vecchi e sfasciati. Quando come nel caso di Ostia o del Trullo non vengono incendiati.
8 Giugno 2021. Intorno a mezzogiorno un temporale, all’apparenza non particolarmente consistente, si addensa sui quartieri a nord di Roma (corso Francia, Ponte Milvio, Flaminio). Quando le nuvole iniziano a scaricare: è il caos. Nel giro di mezz’ora le strade diventano fiumi in piena, le fogne rigurgitano, i sotterranei si allagano. Persino alcuni bambini di un asilo nido vengono salvati dai vigili del fuoco.
Le immagini fanno rapidamente il giro del web e delle tv. Decine di auto vengono raggiunte dal livello dell’acqua ben al di sopra della linea delle portiere: danni all’abitacolo e al motore che la gran parte delle assicurazioni (a meno di una copertura specifica) non risarcirà.
Ma cosa è accaduto? Le indagini dei giorni seguenti ricostruiranno, tra le cause scatenanti, la presenza di numerosi sacchetti di immondizia trascinati dall’acqua sui tombini come giganteschi tappi artificiali. “I rifiuti abbandonati per strada” commenta il sottosegretario Costa “rappresentano un rischio per la salute”. E, come abbiamo visto, non solo.
A questo si aggiungono le modifiche all’ecosistema prodotte da una così vasta mole di rifiuti a disposizione nella città. Famigliole di cinghiali sono state avvistate davanti alla Farnesina, i gabbiani dalle coste laziali si sono trasferiti in centro dove è più semplice nutrirsi direttamente dai cassonetti stracolmi; le volpi di notte si aggirano tra i resti dei rifiuti; i topi hanno recuperato tutto il terreno a loro disposizione. Il picco delle temperature estive fa il resto.
Un quadro del genere non è ovviamente solo una questione di decoro. Si tratta invece di riconoscere che, dopo la chiusura della discarica di Malagrotta, voluta ideologicamente dal sindaco Marino in assenza di alternative, a Roma sono stati persi almeno cinque anni. Persi in nome della ‘decrescita felice’, del reciproco scambio di accuse tra Regione e Comune, dello scaricabarile dei paesi limitrofi che tutto vogliono tranne un impianto di trattamento o una discarica nei propri confini (i famosi ‘nimby’: not in my backyard)
È lecito quindi constatare che intorno alla questione rifiuti si gioca gran parte della campagna elettorale per il nuovo sindaco della capitale. Tanto più se si considera che qui paghiamo una Tari tra le più alte d’Italia e per alcune categorie come i commercianti addirittura il doppio della media nazionale.
Roma non ha impianti a sufficienza: ogni mattina 170 tir partono per Puglia, Abruzzo, Campania, Lombardia per portare i rifiuti nelle locali discariche con costi extra che arrivano a oltre 150 euro a tonnellata. Sino a metà mese Viterbo ha accettato di accogliere 200 tonnellate al giorno per fronteggiare l’emergenza. Poi si vedrà.
La capitale ha bisogno di impianti. Servono tutti. Serve una nuova discarica, centri di trattamento umido raccolto in modo differenziato, un inceneritore in grado di trattare la frazione indifferenziata (le ottimistiche stime del Comune parlano di una differenziata al 45 per cento-venti punti in meno rispetto agli obiettivi indicati dall’Europa. Ma secondo molti osservatori in realtà la percentuale è ancora più bassa)
Di fronte a questo sconfortante quadro i ‘magnifici quattro’ candidati sindaci (chiedendo venia agli altri partecipanti) si muovono in ordine sparso.
Virginia Raggi, lungi dal fare autocritica parla come se nulla fosse accaduto durante il suo mandato (nemmeno del cambio vorticoso di sei amministratori delegati nella municipalizzata Ama in cinque anni). Dal suo entourage si rispolvera la tesi del complotto (vi ricordate il mantra dei frigoriferi abbandonati). Così l’assessore Ziantoni può permettersi di dire che “i romani lasciano i rifiuti in strada perché hanno paura che Raggi vinca di nuovo”. L’attuale sindaco punta comunque sulla riapertura di una discarica ad Albano: 200mila metri cubi per accogliere i rifiuti provenienti dagli impianti di Trattamento Meccanico Biologico (TMB.,attualmente solo due funzionanti). Ma il sindaco della cittadina laziale ha già consegnato al Campidoglio la sua dichiarazione di guerra, si spera solo legale.
Il candidato del Pd Gualtieri persegue la linea ideologica del no a qualsiasi termovalorizzatore. “Esistono tecnologie impiantistiche più specializzate per trattare e valorizzare i diversi materiali” (Corriere della Sera del 16 Giugno) Ma quali siano e come vada affrontata l’attuale emergenza non viene specificato.
Il candidato di centro destra Michetti parla di “impianti innovativi con il minor impatto possibile” e della “necessità di incrementare la raccolta differenziata” (Corriere della Sera, 10 Giugno). Ma come e quando questo sarà realizzato non è ancora pervenuto
L’outsider Calenda è il candidato che presenta per ora le proposte più concrete. In campagna elettorale già dallo scorso dicembre, immagina una fusione tra Acea (la municipalizzata dell’energia di proprietà comunale ma quotata in borsa) con Ama (la municipalizzata dei rifiuti), il potenziamento del termovalorizzatore di San Vittore nel frusinate, la lotta all’assenteismo in Ama che risulta essere il doppio della media nazionale. Tutti e quattro i candidati promettono comunque lotta all’evasione delle tariffe.
Siamo solo agli inizi ma già dentro una calda estate. Il panorama che i primi gruppi di turisti tornati a Roma dopo la pandemia trovano non è un bel biglietto da visita. Certo la questione rifiuti ha passato indenne giunte di destra, di sinistra, pentastellate ma riusciranno i candidati a trovare le risposte al problema e, soprattutto, riuscirà la politica a riprendersi il ruolo di buona amministrazione abdicato in tutti questi decenni in nome dei proclami, del clientelismo, del pressapochismo?
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