Tutti uguali davanti alla legge, berrette viola e porpore comprese. Lo ha disposto papa Francesco con il motu proprio del 30 aprile 2021: anche i vescovi e i cardinali accusati di reati penali comuni devono essere processati, come tutti gli altri, dal tribunale ordinario composto di giudici laici. Unica clausola, l’assenso del papa. È la rivoluzione copernicana che manda all’aria il vecchio sistema di protezioni invalso nella tradizionale prassi giudiziaria della Santa Sede. Prima gli imputati rinviati a processo venivano esaminati da una corte costituita da tre cardinali e due o più giudici applicati. Ora c’è l’aula, senza più santi in paradiso per nessuno.
Papa Francesco raccoglie la difficile eredità lasciatagli da Benedetto XVI e prova da otto anni, fra mille resistenze, a fare pulizia nei misteriosi meccanismi interni della Santa Sede. I risultati si vedono. Grazie alla sua riforma giudiziaria, un cardinale andrà a processo per la prima volta nel Tribunale dello Stato vaticano. È Giovanni Angelo Becciu, 73 anni, ex numero tre della gerarchia pontificia, ex presidente della Congregazione delle cause dei santi e potente ex sostituto della Segreteria di Stato. I pm lo accusano di peculato e abuso d’ufficio. Il processo inizierà il 27 luglio, rischia fino a cinque anni di carcere.
“Sono vittima di trame oscure”, si difende il presule proclamandosi innocente e si dice sicuro di dimostrare in aula la completa estraneità agli addebiti. Con lui alla sbarra nove personaggi tra cui prelati, alti funzionari e manager collegati agli allegri investimenti finanziari della Segreteria di Stato. Accusati di vari reati – estorsione, truffa, falso, corruzione, riciclaggio – per avere condotto operazioni speculative “irragionevoli” che hanno provocato un danno rilevante alle casse della Santa Sede: tra l’altro attingendo al denaro dell’Obolo di S. Pietro, le offerte che i fedeli fanno al Santo Padre perché svolga le opere di carità. Una brutta storia.
Al centro dello scandalo l’acquisto, nel 2013, di un vecchio magazzino Harrod’s al numero 60 di Sloane Avenue a Londra, nel quartiere di Chelsea, gravato di debiti. Intorno al quale si affollano faccendieri dell’alta finanza, broker dal curriculum non irreprensibile e uomini d’affari ansiosi di attingere alle risorse della Chiesa con il compiacente aiuto, a quanto pare, di personale ecclesiastico e laico della Segreteria di Stato. Secondo i pm “un sistema marcio, predatorio e lucrativo”. Becciu è accusato anche di aver provato a depistare le indagini e favorito i fratelli imprenditori con elargizioni di denaro e commesse di lavoro.
Una sentenza già scritta? Niente affatto. Dalle ricostruzioni giornalistiche fin qui apparse, a cominciare da Vatican News, l’organo di informazione online della Santa Sede, appaiono circostanze tutte da chiarire. Per esempio l’atteggiamento incerto, a tratti consenziente, che gli attuali vertici della Segreteria di Stato hanno avuto sull’affare londinese. E l’opinione pubblica non ha ancora capito in base a quali elementi decisivi il papa, il 24 settembre 2020, “licenziò” in tronco Angelo Becciu, spogliandolo del ruolo di prefetto dei Santi e privandolo dei diritti legati al cardinalato. In pratica una sentenza irrogata prima del processo.
La presunzione d’innocenza è un principio fondamentale del diritto penale: l’imputato è considerato non colpevole fino alla condanna passata in giudicato dopo tre gradi di giudizio, l’ultimo dei quali emesso dalla Corte di Cassazione. Un criterio di civiltà condiviso dalla giustizia vaticana che Francesco ha rinnovato da cima a fondo. Il processo dunque, come è nel diritto degli stessi imputati, dovrà accertare i reati e fugare dubbi e sospetti. Che l’aula faccia giustizia presto e si volti pagina, è l’amareggiata volontà del pontefice. Francesco è già oltre. Ha provveduto a dare un segnale chiaro contro i traffici di denaro a scapito della carità.
Tolta la gestione dei soldi alla Segreteria di Stato, la “cassa” è passata sotto il controllo dell’Apsa, l’amministrazione del patrimonio della sede apostolica, istituita nel 1967 da Paolo VI e dal 2018 presieduta dal vescovo Nunzio Galantino. Niente più “tesoretti” separati e gestiti dai vari dicasteri, enti e congregazioni della Santa Sede. Abolito un sistema che si prestava a manovre poco chiare. D’ora in poi bilanci, spesa e investimenti saranno centralizzati nell’Apsa che avrà sotto controllo il flusso della liquidità. Un “comitato di saggi”, il cosiddetto C6, il Consiglio dei porporati che collaborano con il papa, garantirà ulteriori verifiche.
Le nuove parole d’ordine dettate da Francesco sono severità e rigore nell’applicazione del codice degli appalti, trasparenza, buon esempio e scrupoloso controllo delle operazioni finanziarie. È finita l’epoca in cui ogni ente poteva stabilire in autonomia a chi affidare i propri lavori e consulenze. L’obiettivo è annullare i favori a parenti e conoscenti. Quando un dicastero sostiene una spesa la comunica all’Apsa che provvede a saldare. Così si assicura tracciabilità e trasparenza. Per il futuro saranno tollerati solo investimenti etici. Ma il grande cambiamento rispetto al passato è che oggi è il Vaticano a denunciare i presunti illeciti interni.
Non è un caso che la segnalazione dell’anomalia nell’acquisto dell’immobile in Sloane Avenue a Londra sia partita dallo IOR, la banca vaticana, dopo una sospetta richiesta di finanziamento per rinegoziare un mutuo finita nelle maglie dei revisori dell’Istituto per le opere religiose. Il cardinale Pietro Parolin annuncia che la Segreteria di Stato si costituirà parte civile al processo che si aprirà il 27 luglio: “Per ottenere giustizia e riavere i soldi”, spiega. Gli investigatori del papa, i promotori di giustizia e la Gendarmeria, sono già sguinzagliati in giro per il mondo per recuperare il denaro illegittimamente incassato da chi ha truffato il Vaticano.
Già individuati 64 milioni di euro intestati ai personaggi sotto inchiesta e congelati in banche e società in Svizzera, Lussemburgo e Gran Bretagna. I soldi saranno confiscati in caso di condanna definitiva degli imputati. Serviranno a ripianare, almeno in parte, le perdite delle casse del papa.
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