Tra le recenti decisioni del Governo guidato da Mario Draghi ce n’è una che ha suscitato polemiche e critiche soprattutto da parte di Cinquestelle e Pd al governo fino a pochi mesi fa. Si tratta della sospensione del cashback, cioè di quel meccanismo che garantiva un rimborso del 10% (fino a 150 euro) a chi in sei mesi avesse compiuto pagamenti attraverso le carte di credito. Inoltre era previsto un supercashback di 1500 euro alle centomila persone che avessero compiuto il maggior numero di transazioni elettroniche.
Per il primo semestre di quest’anno l’iniziativa resta pienamente valida. Entro poche settimane arriveranno i rimborsi e prima di fine d’anno anche i 1500 euro a chi fatto in questi sei mesi più di ottocento operazioni, a prescindere dall’importo di ciascuna di esse. Il tutto con un costo per lo Stato vicino ai due miliardi per una iniziativa che, secondo i promotori, avrebbe dovuto essere una pietra miliare nella lotta all’evasione fiscale incentivando la tracciabilità dei pagamenti e quindi permettendo al Fisco di venirne a conoscenza.
Ma la prova dei fatti è stata quanto meno disarmante. Il cashback di base non ha allargato in maniera significativa il numero degli utilizzatori delle carte di credito, mentre il super cashback sarà appannaggio di chi ha avuto la pazienza di spezzettare le singole operazioni: per esempio facendo dieci rifornimenti da cinque euro invece di uno solo da cinquanta come si sarebbe fatto se non ci fosse stato il premio.
Draghi ha spiegato che la misura aveva un effetto “regressivo” (il contrario di progressivo). In pratica agevolava una fascia di persone con un reddito medio-alto, soprattutto nel Nord Italia, con scarsi se non nulli risultati agli effetti del contrasto all’evasione fiscale.
Di per sé favorire i pagamenti con le carte di credito è certamente positivo. Una minore circolazione del contante favorisce la sicurezza, riduce e automatizza le operazioni bancarie, e garantisce anche quella limitazione dei contatti particolarmente importante per contrastare la diffusione dei virus.
Ma spendere quattro miliardi all’anno per premiare in gran parte i furbetti del tesserino appare un’inutile spreco di risorse pubbliche in un momento come l’attuale in cui c’è ancora una forte emergenza sociale e una crescita della povertà.
Il cashback risponde alla stessa illusione che avevo cercato di analizzare in un mio ultimo articolo quando ho parlato di “tentazione del denaro”. Cioè la pretesa che distribuendo dei soldi si possano risolvere i problemi.
Il tema delle carte di credito è un problema più culturale che finanziario, un tema che attiene alla conoscenza e alla consuetudine più che agli incentivi unicamente monetari. Così come lo Stato non dovrebbe utilizzare tempo e risorse per iniziative che assomigliano al gioco d’azzardo, come la lotteria degli scontrini (un’altra invenzione del governo giallo-rosso che ci si puó augurare venga al più presto archiviata).
C’è un modo per giudicare la validità di certe iniziative. Chiedersi che cosa fanno i grandi paesi simili all’Italia di fronte a problemi come quelli delle carte di credito e degli scontrini. Ebbene ci sarà una ragione perché in nessun paese siano state mai nemmeno ipotizzate iniziative di questo tipo.
La pur breve esperienza del Governo Draghi dimostra la volontà di abbandonare le soluzioni velleitarie per tornare alla concretezza della politica. Una concretezza che vuol dire offrire servizi reali ai cittadini, far funzionare le scuole e gli ospedali (e le vaccinazioni), utilizzare i tanti fondi ora a disposizione per investimenti per rendano il paese più moderno ed efficiente.
Addio al cashback quindi senza nostalgia.
You must be logged in to post a comment Login