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Presente storico

UNA VIA, TRE NOMI

ENZO R. LAFORGIA - 09/07/2021

La trasformazione da via Verbano a via Marcobi (da Varesenews)

La trasformazione da via Verbano a via Marcobi (da Varesenews)

La mattina del 26 aprile del 1945, a Varese cessarono gli spari. Ormai la città era libera e la guerra volgeva finalmente al termine. I partigiani avevano dovuto combattere strada per strada, fabbrica per fabbrica. Ma, alla fine, anche gli ultimi fascisti, asserragliatisi nell’edificio della Scuola elementare «Felicita Morandi», avevano dovuto arrendersi.

Due giorni dopo, il 28 aprile, si insediò, presso il Palazzo Estense, la prima Giunta della città liberata, guidata dal sindaco comunista Enrico Bonfanti. In apertura di seduta, fu approvato il proclama che sarebbe stato diffuso tra la popolazione, in cui si annunciava che «l’auspicato ritorno della libertà è giunto, trionfale e definitivo». Subito dopo, furono emanati i primi provvedimenti, tutti carichi di un forte valore simbolico, guidati dall’idea di segnare una definitiva discontinuità con il recente passato. Tra questi spicca quello che riguardava il rinnovamento della toponomastica. Le vie e le piazze, su cui si era esercitata per vent’anni la retorica del fascismo, furono dedicate ai nuovi eroi e alle nuove parole d’ordine della Resistenza. Quella via che era stata intestata ad Italo Balbo, uno dei quadrumviri della marcia su Roma, poi morto in un incidente aereo nei cieli della Libia nel 1940, fu intestata a Walter Marcobi, operaio, comandante della 121a Brigata Garibaldi «Gastone Sozzi», assassinato dai fascisti all’età di trent’anni presso Capolago il 5 ottobre 1944.

Ma prima ancora di essere intestata al fascistissimo Balbo, la strada che oggi porta il nome di Marcobi si chiamava Corso Verbano. Fu questo uno dei primi luoghi sottoposti alla cura del «piccone demolitore», come scrivevano i giornali alla fine degli anni Venti.

Il 14 aprile 1928, la «Cronaca Prealpina» presentò un primo disegno del nuovo corso Verbano, visto da via Sacco. Spiccava imponente il grande palazzo De Micheli-Bonazzola, ad angolo con via Bernascone, sotto i cui portici avrebbe avuto sede la Banca Commerciale. Il progetto era dell’ingegner Edoardo Flumiani.

Con i suoi 32 metri di altezza, l’edificio darebbe diventato uno dei più alti della città, senza tuttavia inseguire le forme «di stracchino gelato dei palazzi newyorkesi», come commentò il quotidiano locale. I portici, maestosi, larghi quattro metri e mezzo e alti otto metri circa, sarebbero stati decorati da un pavimento a mosaico e da un soffitto a cassettoni.

Il 1° luglio del 1940, due giorni dopo la notizia della morte di Italo Balbo, il podestà di Varese, con il parere favorevole del Prefetto, decise di dedicargli questa strada:

«Interpretando il sentimento ed il desiderio di tutta la cittadinanza del capoluogo della Provincia– si legge sulla stampa dell’epoca – legata per tradizioni e per lavoro alle più fulgide epopee della nostra aviazione, il nostro Podestà, col consenso del Prefetto, ha voluto che una delle più belle vie cittadine fosse intitolata al nome di Italo Balbo, caduto in una luce di gloria nel cielo africano.

La deliberazione podestarile assume il più alto significato in questo storico momento, in cui tutta la Nazione, agli ordini del Duce, Comandante Supremo delle nostre Forze Armate, sta marciando a ranghi serrati verso un luminoso destino imperiale.»

Da meno di un mese, infatti, l’Italia era stata trascinata in guerra dal suo duce.

Nonostante l’iniziativa intrapresa dalla prima Giunta comunale della Varese liberata per cancellare nomi e simboli legati alla memoria del ventennio fascista, sotto i portici dell’attuale via Marcobi, all’angolo con piazza Monte Grappa, sopravvivono ancora, in bella vista, dei fasci littori, a decorare le griglie poste sul bordo della strada.

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