Scrivevo qualche giorno fa su Facebook che quand’ero un ragazzo potevo scegliere fra decine e decine di luoghi di discussione culturale e politica. Mi sono praticamente “formato” lì essendo la scuola arrivata molto dopo nel mio caso.
Aggiungevo che mio figlio ha avuto meno opportunità ma abbastanza e non banali.
Mio nipote che comincia a mostrare un certo interesse socio-politico avrebbe difficoltà nel trovare tali occasioni di crescita sociale e culturale. Concludevo che questo è allo stesso tempo causa ed effetto della crisi politica di oggi e che partiti e movimenti dovrebbero capirlo in fretta.
Ovvio che non si tornerà più ai partiti di una volta con milioni di iscritti e centinaia di migliaia di militanti. Queste false aspettative sono cibo per i gonzi. La società è fortunatamente cambiata, la guerra fredda che divideva il mondo in due è un lontano ricordo e il governo è più complesso.
Il tema dell’importanza dei partiti e dei movimenti non si può però bypassare dicendo che ciò che conta è la linea politica, la visione del mondo, l’Italia che vogliamo fra dieci, venti o cinquant’anni, la lotta alle crescenti disuguaglianze. Certo che è così ma chi decide, chi alimenta e dà forza a queste visioni e a questi disegni? Il leader? Fondamentale ma non basta.
Prescindere da un’organizzazione politica strutturata porta ad un approdo poco democratico o fallimentare come dimostra la brutta fine dei partiti personali e, da ultimo, l’avventura del M5S fondato sull’illusione della democrazia diretta, ma nei fatti verticista e controllata in modo padronale.
Le forze politiche oggi hanno certamente bisogno di una leadership forte ma che sia contendibile e di una base sociale messa in grado di pesare nelle decisioni più importanti. Indico due punti d’attualità che mi sembrano decisivi: 1) la scelta dei candidati sindaci, dei presidenti di Regione e degli stessi leader, 2) la definizione dell’identità progettuale soggetta all’evoluzione dei tempi.
Sul primo punto, lo spettacolo offerto dalle mille riunioni di vertice del centro-destra per arrivare alle candidature a sindaco dà l’idea di grandi città giocate come pedine sullo scacchiere del potere nazionale con poco rispetto delle comunità coinvolte perfino delle due capitali: Roma e Milano.
Penso che da queste vicissitudini debba uscire rafforzata l’idea del centrosinistra delle elezioni primarie che sembrava essere entrata in crisi. Ma anche il centrosinistra deve cambiare le modalità partecipative che oggi sono soggette a rischi di manipolazione. Necessario sapere chi ha titolo di partecipare attraverso gli albi pubblici.
Sul secondo punto bisognerebbe rendere possibile la consultazione del corpo sociale delle primarie – enormemente più vasto dell’indispensabile avanguardia degli iscritti – su una serie di decisioni vitali, il che oggi sarebbe agevolato dall’enorme progresso del digitale. Per esemplificare cito per il centrosinistra alcuni temi che recentemente hanno fatto scalpore come il voto ai sedicenni, la tassa di successione, la “legge” su omofobia e transfobia, le ipotesi di riequilibrio dei poteri regionali nella Sanità.
Tutto ciò darebbe l’idea di forze politiche che si rinnovano con la cooperazione attiva della base rafforzando, e non indebolendo, la leadership nazionale.
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