Parco pubblico in città, un pomeriggio estivo, seduti all’aperto ai tavolini del bar.
Al mio si parla di tematiche educative, e dei risvolti sociopolitici di alcune pseudo teorie pedagogiche eccessivamente permissive.
Si affianca a noi un gruppetto familiare: una mamma dal viso aperto e dal piglio socievole, che saluta e si siede con i due bambini e, penso, un’amica.
Il bambino più piccolo, cinque, massimo sei anni, faccino simpatico e sveglio, indossa una maglietta rossa con una scritta che in un primo tempo mi sfugge. Durante le corse avanti e indietro la scritta si palesa: QUALUNQUE COSA SIA SUCCESSA, NON SONO STATO IO.
È una maglietta chi si offre come divertente, la frase, in fondo, vorrebbe apparire lieve, nell’intento di chi la produce, poi di chi la vende, infine di chi la compera.
A sceglierla sarà stata l’amica della mamma, o una zia, insomma qualcuno che cercava un regalo spiritoso e poco impegnativo.
Mi immagino che sia adatta a un bambino come quello, vivace, un po’ ipercinetico, di quelli che ne combinano tante, ma sempre simpaticamente. Magari il piccolo ha il vizio – non grave per carità – di negare il proprio ruolo nelle cose che succedono, forse ha l’abitudine di dare la colpa agli altri per le marachelle e appartiene alla categoria di quelli che si sfilano sempre dalle responsabilità, piccole o meno piccole.
Forse è il destinatario ideale di una maglietta che farà sorridere benevolmente i familiari, i conoscenti, i vicini …
NON SONO STATO IO è una modalità di pensiero e di comportamento piuttosto diffusa, di fatto condivisa da tanti: ovvero, io non c’entro, non so che cosa né come è stato, non sono certo responsabile di quello che è successo né delle sue conseguenze.
Il ritornello è ampiamente diffuso nella politica del presente: sono sempre gli altri, gli avversari, o gli stessi compagni di partito, oppositori interni, ad avere detto/fatto o non fatto una cosa o l’altra.
Torniamo al bambino. Ovvio che dimentichi subito di portare a spasso questo poco nobile principio dell’italianità deteriore.
Non è che crescerà meno educato a causa di una banale maglietta, incolpevole indumento che a fine estate si sarà stinta per i frequenti lavaggi e sarà presto accantonata perché da piccoli si cresce in fretta.
E poi, diciamolo francamente, non è che sulle magliette di ragazzi e ragazze lette in giro per le strade ci siano solo i versi di Dante o le massime di celebri pensatori.
Però la frase portata a spasso dal bambino con la maglietta rossa mi induce a pensare allo scarso spazio che dedichiamo al concetto di responsabilità personale che sarebbe bene cominciare a insegnare dalle prime fasi della crescita.
Responsabilità significa rispondere di qualcosa a qualcuno, a qualunque età e in qualunque contesto.
Invece: ho rotto un giocattolo, ho sottratto un oggetto a un amico, ma devo negare di averlo fatto.
NON SONO STATO IO.
Anni dopo, non ho studiato, sono stato rimproverato: la colpa è dell’insegnante. Se si è bocciati è la scuola che non ci ha capiti. Se ho bullizzato un compagno debole, ho girato un video che lo mette alla gogna certo l’idea non è stata mia, mi hanno indotto e trascinato “gli altri”.
Concludendo sulla maglietta rossa al parco: non si chiede la censura sulle scritte alle magliette, ognuno comperi e indossi ciò che vuole.
Ma almeno i bambini, preserviamoli da un approccio un po’ cinico alla vita e alla morale: basta un piccolo sforzo.
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