Spira un fresco venticello in questa giornata d’inizio estate. Seduto su una panchina di pietra del giardino della dimora abitata per quasi quarant’anni da Robert Schuman, tacito, cerco di raccogliere in me pensieri, sentimenti, ricordi. Sono salito quassù sulla collina di St. Quentin, nel villaggio di Scy-Chazelles, poco lontano da Metz, per rendere omaggio al “padre dell’Europa”, dopo pochi giorni che papa Francesco lo ha proclamato “venerabile” per aver egli vissuto in modo eroico le virtù evangeliche.
Il giardino domina maestosamente la vallata della Mosella, fiume simbolo: francese d’origine, determina la frontiera tra il Lussemburgo e la Germania prima di gettarsi nel Reno, il più europeo dei fiumi. Al di là della valle, si estende la città di Metz su cui domina la cattedrale gotica che proprio quest’anno compie 800 anni. Sempre più a ovest, posso immaginare la “linea Maginot”, Verdun con le sue trincee, i suoi crateri l’ossario do Douaumont con i suoi elenchi di nomi incisi sul marmo, le sue targhe, le sue graziose croci allineate. È terra di confine. Dopo la prima guerra mondiale, curate le ferite e avuto il tempo di tirare il fiato, nel 1939 quelle terre francesi vennero nuovamente invase dal mostro nazista, che aveva il sogno di un continente a lui sottomesso, oppresso.
È nella calma di questo giardino che Schuman nel fine – settimana che precede il 9 maggio 1950 legge, rilegge, corregge, aggiunge periodi alla bozza di dichiarazione che Jean Monnet gli aveva preparato. Alla fine della lettura, Schuman è risoluto: non bisogna più castigare il nemico, occorre allearsi con lui e poiché la guerra si è nutrita di materiale ferroso e carbone si comincerà da lì: mettere in comune queste materie per assicurare all’Europa pace, prosperità. Retorica europeista? No, un sogno divenuto realtà: nei nostri giorni si è trasformata in solidarietà per combattere un virus, rigenerare l’Europa, assicurare benessere alle future generazioni. I pilastri più solidi della comune casa europea sono stati collocati nei momenti di maggiore instabilità dell’Europa, anche se molti vedono solo nemici da affrontare e non problemi da affrontare, come fanno i piccoli popoli geneticamente nazionalisti che vorrebbero che anche Dio fosse dalla loro parte.
Il paesaggio mi invita a dilungarmi a riflettere: il fiume mi evoca la precarietà della vita, ma ugualmente la forza della verità di cui si nutrì il politico mosellano, una verità la cui immutabilità è sottoposta incessantemente alle tensioni perché ogni generazione, ogni uomo va alla conquista della verità in una continua scoperta tenace, perseverante e talvolta dolorosa.
È l’Europa dei populismi che si lascia guidare dalle ideologie che rischiano di mettere a dura prova la convivenza pacifica e lo sviluppo delle prossime generazioni; è l’Europa degli egoismi nazionali che possono tentarci ad un ritorno del passato; è l’Europa angosciata più delle norme che delle tragedie delle migrazioni, della povertà, della cura dell’uomo; è l’Europa legalistica che inventa mezzi e leggi per combattere le disuguaglianze, ma dimentica la centralità dell’uomo, la condivisione come mezzo per combattere la solitudine, lo spirito di fratellanza.
Le alte guglie della Cattedrale sembra che vogliano unire terra e Cielo; all’ombra di questi templi disseminati in tutta Europa innumerevoli spiriti hanno appreso a passare dal piano intellettivo a quello del cuore. Prima di protenderci verso l’Alto dobbiamo abbracciare la terra. L’Europa perirà se dimentica che “Dio si trova nei dettagli” e che l’idea di Europa s’intreccia con la storia della cristianità occidentale. Oggi l’Europa sembra aver perso l’anima che le permetta a essere “padrona del suo destino”. Abbiamo perso il coraggio, l’orgoglio delle nostre radici e della nostra cultura, il gusto delle grandi attese, degli interrogativi profondi, degli ampi orizzonti, del primato dello spirituale: così allo scandalo di un cristianesimo senza cristiani si accompagna quello di un‘ Europa senza europei!
Esco dal portone di casa e mi trovo su una strada deserta. Di fronte, un convento di religiose con la chiesetta che custodisce l’inginocchiatoio su cui Schuman si genufletteva per assistere, quando gli era possibile, all’Eucarestia. A destra una bella cappella del XIII secolo dove l’artigiano di pace riposa. Nel largo tra il convento e la cappella quattro statue in bronzo in grandezza naturale raffigurano quattro dei “padri fondatori”: Adenauer, De Gasperi, Schuman e Monnet.
Entro nella cappella, testimone di un grande passato. È umida, quasi buia. Dalla bifora dell’abside entra una lama di luce che trafigge la pietra sepolcrale. Sulle pareti attorno le ventisette bandiere dei paesi dell’Unione vegliano su di essa. Mi raccolgo e rifletto sulle micidiali ideologie che l’Europa nel secolo scorso ha diffuso in tutto il mondo e sulla sua autentica vocazione: “essere la parte più preziosa del pianeta, perla del globo, cervello di un vasto corpo” – come ha lasciato scritto Paul Valéry – ma non per dissanguare i popoli e dominarli, ma per avvicinarli, per far riunire quelli separati dall’odio, per riempire i fossati, abbattere i muri, tranciare i reticolati.
Per Schuman la missione dell’Europa è quella d’indicare all’umanità una nuova via: “Servire l’umanità – scrive – è un dovere uguale a quello della fedeltà alla Patria, la terra dei nostri Padri”. L’amore per la propria terra non è la negazione dell’esistenza di un bene comune nel quale si fondono gli interessi della propria nazione con quelli della solidarietà che ci lega a tutti i popoli. Essere europei significa cercare di negoziare sul piano esistenziale, intellettuale e spirituale i valori della legge del Sinai con quelli della logica greca e questa con il diritto di Roma, tutti illuminati dall’appello tenero e incalzante delle Beatitudini.
L’Europa dipende meno di quanto siamo portati a credere dalla Banca Centrale o dagli aiuti della Next Generation EU o dagli investimenti in nuove tecnologie o dalle tariffe comuni: oggi l’Europa ha di fronte a sé una sfida epocale come quella del dopoguerra. “Europa – proclamò Husserl – allude all’unità di una vita, di un’azione, di un lavoro spirituale”. L’Europa perirà se non ritroverà la sua cultura umanistica, la realizzazione della conoscenza, la ricerca disinteressata del sapere, la creazione della bellezza. L’azione politica, oggi dominata dal “fascismo della volgarità” (l’espressione è di George Steiner) dovrà ritornare ad essere luogo di pensiero, di confronto, di critica capace di essere in grado di distinguere il significato dei fatti e il desiderio della gente e – solo alla fine – scegliere. E dovremo tutti – credenti e agnostici – ritrovare ciò che abbiamo ereditato dai padri, riguadagnarlo per possederlo.
Qui a Scy-Chazelles mi sento un nano sulle spalle di un gigante. Dovrò essere rigoroso e nel contemporaneamente mite come il gigante sulle cui spalle sono stato portato.
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