Da qualche mese le nostre città sono interessate da un nuovo fenomeno particolare: gruppi di adolescenti, talvolta con qualche anno in più, cercano siti particolari di ritrovo, prevalentemente piazze o ampie vie delle nostre città, città grandi o di media grandezza, non piccole perché qui sarebbero più controllabili, ma nel loro aggregarsi i rapporti tra i gruppi non sono di convivenza, anzi sfociano in episodi di violenza creando fattori di squilibrio nella vita della città stessa. Gli abitanti del luogo, i negozi, gli uffici di professionisti, le attività lavorative vengono turbate nel loro svolgersi attivo. Come osserva Galli della Loggia sul Corriere di qualche settimana fa, le nostre piazze vengono prese in ostaggio da minoranze giovanili che le rubano alla maggioranza dei cittadini sia durante la giornata sia in molti casi nelle ore notturne, distruggendo le possibilità di vita normale.
Il desiderio di aggregazione è una componente naturale nello sviluppo delle nostre personalità dopo il periodo dell’infanzia quando, in modo lento ma progressivo, ci avviamo a staccarci dal nido creato da chi ci ha generato; si cercano istintivamente nuovi ambienti capaci di darci appoggio nel nuovo cammino, ma purtroppo questi spesso sono privi di capacità positive, anzi …. Inevitabilmente entrano in gioco numerosi fattori di educazione, cultura, abitudini di vita, fattori etnici, economici che possono lasciare pesanti tracce in queste personalità in via di sviluppo, creando devianza di comportamenti potenzialmente in grado di creare problemi dolorosi, una volta raggiunta l’età adulta.
Grande errore nasconderci la gravità del problema: da qui possono originare quei dolorosi squilibri che vediamo in altre città europee, dove fenomeni analoghi si sono verificati già da tempo e sono poi degenerati in gravi episodi di violenze che talvolta si esprimono anche in attentati, come le recenti cronache ci hanno riferito.
Molti con leggerezza giudicano il fenomeno come conseguenza del lungo lockdown che abbiamo vissuto, con le lezioni scolastiche a distanza, non da tutti seguite per l’impossibilità di avere i mezzi tecnici necessari, con le difficoltà nelle famiglie di vita equilibrata dati gli spazi ristretti e molto altro: facile dare questa diagnosi, ma il fenomeno appare più profondo, associabile alle violenze negli stadi, al così detto bullismo nelle scuole, alle violenze parallele in certe manifestazioni di protesta, alle esasperate notizie di aggressioni, divulgate con vena di compiacimento da parte di certi mass-media.
Quando poi i rapporti tra questi gruppi sfociano in manifestazioni contrarie alla legge scattano ovvie punizioni e repressioni che non risolvono il problema, ma lo esasperano: la violenza suscita sempre nuova violenza più esasperata. È un fenomeno ben noto all’attuale Assessore alla sicurezza, dottor Catalano, che ha studiato bene il problema e parla essenzialmente di prevenzione, perché l’automatica repressione legale non dà frutto, non risolve.
La nostra attuale società, affamata di mano d’opera tecnologicamente preparata, commette l’errore di non riconoscere lo “ius soli” a molti giovani per cui questi ragazzi, che si sentono italiani perché nati qui, si trovano emarginati, hanno difficoltà a completare la loro cultura e cercano soluzioni per superare le “negazioni” subite. Perché accettare una educazione, una preparazione scolastica, anche tecnologicamente valida datami da una società che poi le nega? Come purtroppo le negherebbero le società d’origine dei genitori, se ritornassero lì.
Molti sono i disagi originati da questa esperienza che si riscontrano un po’ dovunque in tutta Italia ed ultimamente episodi del genere si sono verificati a Gallarate, a Busto, a Saronno, ossia nelle città della nostra provincia. A mio giudizio c’è grave e banale responsabilità nel “modo” in cui le notizie vengono diffuse (per ottenere audience?). Purtroppo infatti questo informare seduce provocando mode e scatenando imitazione: altro fenomeno tipico della nostra società. Ma quante volte le TV, regionali e nazionali, hanno pubblicato le immagini di Gallarate? E quelle nelle piazze di Roma? Non c’è vizioso compiacimento?
Da qui evidente la necessità educativa dei ragazzi di questa età, una educazione che dovrebbe nascere nelle famiglie fin dalla prima infanzia, completata poi nelle scuole e in altre strutture che talvolta vengono negate a chi ha cultura diversa dalla nostra… ma che può lei stessa essere rifiutata. Inevitabilmente la futura società sarà multietnica, ma purtroppo talvolta si fomenta un esasperato razzismo, che trova sempre facili proselitismi, specialmente dove l’ignoranza ha alti livelli.
Secondo il dottor Catalano, i ragazzi protagonisti degli episodi suddetti vengono da fuori Varese, ma alcuni sono della città: questa eterogeneità complica la possibilità di soluzioni a cui è chiamata non solo tutta la città, ma tutto il territorio con tutti i servizi sociali, assistenziali, educativi. Ecco di conseguenza la necessità di sviluppare il concetto di “Area Vasta” di fronte a problemi sociali, culturali, educativi che non sono affrontabili dalle possibilità di comunità troppo ristrette.
Ma i candidati alle future elezioni, così critici nei confronti di chi ha gestito per soli 5 anni (e non per 20) Varese hanno ben presenti queste problematiche? Criticano i progetti futuri, il non fatto, ma anche il fatto… ma dove sono le idee nuove e chiare sulla conduzione della città?
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