Qualche sera fa, mentre chiudevo una finestra a piano terra della mia casa, mi colpiva uno strano “batuffolo” color grigio-beige, ben mimetizzato tra le pietre del cortile interno. Lo osservo meglio, colgo un respiro celere, un lungo becco appuntito, ma soprattutto due occhietti scuri e inquietanti che mi guardano fissi e impauriti. Secondo la mia percezione sembrano esprimere smarrimento, richiesta di aiuto per l’incapacità a riprendere il volo. Ho pensato a un piccolo merlo implume dei numerosi nidi presenti in zona. L’amico Pierino, che sa tutto di flora e di fauna boschiva locale, interpellato al riguardo, me ne dà conferma, ma soprattutto mi suggerisce di non fare nulla. Io volevo “soccorrerlo” avvicinandomi almeno con una ciotola d’acqua. Invece Pierino sosteneva che i “genitori” si sarebbero comunque preoccupati e sarebbero venuti a recuperarlo, comunicando con il “neo merlo” attraverso un loro linguaggio fatto di suoni incomprensibili a noi umani e profani. Mi rassicurava sul fatto che i merli non abbandonano quasi mai i loro piccoli, cercano solo di addestrarli. In questo caso, unico rischio poteva essere la presenza di un gatto, felice di aggredirlo e condurlo poi in giro come trofeo “di caccia”. Speravo che ciò non avvenisse, dato che lì non vedevo ormai più gatti da tempo.
Pierino ha avuto ragione: la mattina successiva il piccolo merlo non c’era più tra le pietre. In zona sono riuscita tuttavia a scorgere merli adulti svolazzanti, i probabili “genitori” che “cippettavano” continuamente. Gli stessi avevano senz’altro provveduto ad aiutarlo, dato che l’ho poi scorto in un altro punto del cortile, impegnato a volare ben protetto dai “grandi”.
Questa storia che la Natura – se rispettata – ci presenta quotidianamente, mi ha evocato lo stato di smarrimento che più volte ho colto in bambini di qualunque età che vivono la paura dell’abbandono. Sono i “figli della separazione” o di altri disagi endofamiliari, che trepidano, tremulano, hanno lo sguardo invocante aiuto, proprio come il neonato merlo. Per questi piccoli bambini che numerosi ho conosciuto lungo la mia vita professionale, ho scritto tempo fa – ma integrato più recentemente – le righe che seguono. Ho pensato di dedicarle a tutte quelle persone adulte che hanno il compito di sorvegliare questi nostri piccoli “implumi”, lungo il loro accidentato percorso di crescita.
AL CENTRO IL BAMBINO/A: UN FRAGILE CRISTALLO DA PROTEGGERE
La teoria sostiene che l’ambiente in cui il bambino/a vive debba essere caratterizzato da armonia, serenità psicologica, tranquillità e sicurezza. Trattasi di un assunto pediatrico fondamentale che ha come fine una crescita e uno sviluppo regolari, che permettano a loro volta il raggiungimento da parte del bambino/a di uno stato di benessere fisico, psichico e sociale, ciò che per l’OMS è la definizione di salute.
È facilmente sostenibile che ogni eventuale conflitto peristatico, soprattutto se di tipo interparentale, conduca il minore a una destabilizzazione del suo importante processo evolutivo, minandolo a volte già alla base.
Del resto se la famiglia, sia quella antica di tipo patriarcale o quelle più moderna di tipo nucleare, rappresenta la struttura tradizionale che dà sicurezza e protezione al bambino/a, è inevitabile che la personalità dello stesso in assenza della sua fisiologica nicchia-culla, subisca uno stato di disagio, di sofferenza.
La nostra società, in evoluzione costante, è sempre “di corsa”, accelerata, “con l’orologio in mano” e purtroppo non sempre predisposta all’ascolto: le preoccupazioni economiche, di carriera, di lavoro, affettive o altro ancora, soprattutto in questo difficile periodo pandemico, rendono la giornata una stressante routine, in particolare per le giovani coppie alle prese con il primo figlio/a.
Nella pratica quotidiana ci si confronta ormai sempre più spesso con famiglie instabili, dove i figli devono adattarsi a un clima poco sereno, spesso litigioso tra i genitori in continuo e purtroppo drammatico disaccordo!
Genitori reciprocamente ostili e magari violenti rendono l’ambiente familiare teso e insicuro, tale da produrre nei figli ansia o confusione circa le figure di riferimento in cui credere e con cui rapportarsi.
Questi primi sintomi-segnale di un certo malessere, sono causa di altre sofferenze, anche di tipo psicosomatico: un cattivo incontro con una realtà della vita socio-ambientale può provocare reazioni a livello psicologico che inducono risposte di sofferenza somatica. La cute, il tratto gastrointestinale, quello respiratorio, sono esempi significativi di organo-bersaglio. Sintomi a volte inspiegabili hanno spesso alla base una incomprensione affettiva, relazionale, emotiva. Cefalea, addominalgie, tosse, e altro ancora sono possibili esempi di malessere bio – psico -socio – relazionale.
Meglio a volte chiudere un rapporto attraverso la separazione e poi il divorzio, piuttosto che vivere in situazione continuamente conflittuante e avvilente!
Tuttavia di fronte alla separazione e al divorzio dei genitori, i bambini grandetti ma soprattutto gli adolescenti esprimono spesso sentimenti di ira e di rabbia, oppure (prevalentemente nel sesso femminile) di depressione, tristezza, sfiducia con anche possibile scadimento nelle attività scolastiche.
Compito delle figure professionali esterne alla famiglia – ricordo i diversi ruoli sociali del pediatra: “avvocato” del bambino/a, “antenna sociale” dell’ambiente, “psicologo” e “pedagogo” verso l’intera famiglia – è quello di mantenere l’equilibrio nel rispetto del bambino/a e del suo armonico bisogno di crescita.
Grande aiuto si può avere anche dagli educatori scolastici dei vari settori: l’osservazione quotidiana di un bambino/a che passa da un atteggiamento sereno, solare e collaborante a uno di cupezza, tristezza, chiusura, deve preoccupare l’insegnante che ha l’obbligo -dovere di segnalarlo.
Se poi la rabbia può spingere un genitore a usare il bambino/a contro l’altro partner o a servirsi del figlio/a come di un “messaggero”, il pediatra con grande senso di responsabilità e di correttezza deve rappresentare l’ago della bilancia solo a favore del bambino/a, evitando di lasciarsi trascinare da una parte o dall’altra, ma dimostrando e spiegando la sua disponibilità amicale sempre e soltanto verso la persona da lui protetta e tutelata.
Il figlio/a, “cristallo fragile” al centro di diatribe infinite, ha inoltre un importante diritto che spesso passa in second’ordine: la sua corretta informazione di quanto sta avvenendo, attraverso la spiegazione – con linguaggio appropriato e facilmente comprensibile – dei vari passaggi di una separazione, comprese le difficoltà che i “grandi” incontrano.
Infine di una sola cosa il bambino/a – qualunque età egli abbia – vuole avere l’assoluta certezza: essere amato/a ancora da entrambi i suoi genitori, anche se gli avvenimenti della vita li hanno condotti a non essere più capaci di vivere bene insieme come prima. Non più coppia, ma sempre mamma e papà di chi è stato da loro generato e che ha il diritto di diventare donna e uomo attraverso la sicurezza, l’autorità, l’esempio.
Come non si smette mai di essere figli – ricordiamo i doveri di ciascuno nei confronti dei genitori – così non si smette mai di essere genitori nei confronti dei figli, anche se in case separate, perché la funzione parentale non decade mai, salvo casi limite di inadeguatezza etc.etc. e successiva sospensione giudiziaria di ogni rapporto tra genitori e figli. Ma si tratta di situazioni gravi, purtroppo possibili, cui si spera di non giungere mai.
Ripeto che ogni soggetto in crescita, durante il suo percorso evolutivo ha la necessità di sentirsi protetto, seguito, guidato nelle scelte e supportato nelle difficoltà.
Importante è quindi, attraverso l’impegno di tutte le persone che circondano il bambino/a, non tradire mai nessun “figlio/a della separazione” su quella sua certezza, di non rischiare l’abbandono, al fine di una sua possibile crescita serena ed equilibrata.
Il bambino/a non vuole sentirsi trasparente, ma osservato e amato. Non ha scelto lui di venire al mondo…è arrivato e va capito.
Vuole essere ascoltato/a, sempre, anche quando i genitori sono separati o divorziati. Ha sempre qualcosa da riferire a ciascuno di loro, vorrebbe sempre coinvolgerli.
Ricordo ancora l’importante ruolo dei nonni o di altri parenti, zii, zie, fratelli maggiori, cugini e degli educatori scolastici: le loro capacità di ascolto empatico possono supplire in momenti di difficoltà l’assenza dei genitori.
Il bambino/a, lo ripeto, ha bisogno di disponibilità, affetto, disciplina, regole, stabilità e garanzie. E per capirlo sempre, bisogna abbassarsi alla sua altezza, come sosteneva Janusz Korczak, medico, scrittore, pedagogista e uno dei più grandi educatori di tutti i tempi, ucciso nel campo di sterminio di Treblinka il 6 agosto 1942, assieme a duecento bambini e al personale della Casa degli Orfani che aveva diretto per trent’anni.
Tempo fa lessi casualmente questa piccola carta dei diritti dei bambini di seguito riportata e scritta da una classe di piccoli di tre anni – penso tuttavia dai loro bravi educatori – di una scuola materna inglese di Manchester:
Non dover lottare Aspettarsi che le persone siano gentili Non essere preso in giro Non essere fatto diventare triste Non avere paura degli insegnanti Avere degli amici Non avere paura di venire a scuola Essere in situazione di sicurezzaMi piace, in conclusione, ricordare anche una frase di un grande Maestro della Pediatria, Franco Panizon, che vorrei lasciare come importante riflessione:
“La vita è complessa; fare i genitori, o i nonni, o gli insegnanti, o i pediatri è anche complesso. Però, è la cosa più bella del mondo: siamo alle radici della vita”.
E io aggiungo “non roviniamone la crescita e la sua evoluzione”!!!
Come il piccolo merlo che ha senz’altro perfezionato il suo volo grazie alla presenza e ai suggerimenti dei suoi “genitori”, così ogni bambino “ferito nell’anima” continuerà a crescere, se aiutato dalla presenza del papà e della mamma – anche se separati – oltre che di tutti coloro che lo capiscono e quindi lo aiutano, perché lo amano.
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