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Politica

LA VOLTA BUONA

ROBERTO CECCHI - 25/06/2021

riformaSe c’è una cosa che proprio non si può dire del governo Draghi è che non si stia impegnando seriamente per le riforme e per mettere in sicurezza il Paese. Dalla metà di febbraio a oggi son passati poco più di cento giorni e la pandemia, finalmente, sembra sgretolarsi contro il muro eretto dalla ricerca scientifica e dai vaccini, anche se non mancano le incertezze, com’è naturale che sia, con un fenomeno sconosciuto qual è il Covid, che richiede continui aggiustamenti. Anche per i fondi europei è stato fatto un lavoro straordinariamente efficace, soprattutto per convincere i partners europei che stiamo lavorando per il meglio e, per questo, pare che a breve, alla fine del mese prossimo, arrivi la prima tranche delle risorse promesse.

È partita anche la riforma della pubblica amministrazione, uno di quegli snodi da cui passano concretamente le nostre possibilità di ripresa, perché è da qui che transita un po’ tutto quanto, dalle cose più grandi a quelle più piccole. Per dire, se gli appalti per le grandi opere non partono e quindi non si fa occupazione e non si realizzano infrastrutture, non dipende dal caso, ma dalle capacità della pubblica amministrazione di fare il suo lavoro. Allo stesso modo, se per avere una carta d’identità, oppure per ottenere una licenza d’esercizio per una qualsiasi attività, accade che possano passare anche diversi mesi, non dipende dal maltempo o dalla mala sorte, ma da come è organizzata quella stessa pubblica amministrazione. Sono le facce di un unico sistema che se venisse riformato al meglio, contribuirebbe non poco a dare quella fiducia che serve per qualsiasi intrapresa, mentre oggi siamo mortificati da lungaggini incomprensibili, che generano tante di quelle difficoltà da scoraggiare chiunque.

Dunque, la riforma della pubblica amministrazione è un obbiettivo realmente risolutivo e i numeri che son stati dati paiono suggerire che stavolta sia la volta buona. Si parla di 24.000 assunzioni e si prevede che i contratti di lavoro dei dipendenti vengano legati agli obbiettivi da raggiungere, che siano assunti dei manager esterni e che verranno dati dei premi ai dipendenti virtuosi. Sono novità rilevanti, oltretutto perché veniamo da dodici anni di blocco del turnover e quindi quei numeri rappresentano un’inversione di tendenza. Il progetto prevede anche l’arrivo di un migliaio di esperti “a supporto degli enti locali per gestire i cosiddetti colli di bottiglia nelle procedure, 268 assunzioni per il team della transizione digitale di Vittorio Colao, 67 per l’Agenzia digitale per l’Italia a palazzo Chigi, 500 (altri 300 potranno essere assunti per “motivate esigenze” legate alla governance del Recovery) per coordinare, attuare e controllare il Pnrr (80 di loro alla Ragioneria generale dello Stato). Ancora nove dirigenti rafforzeranno il ministero dell’Economia e le sedi territoriali della Ragioneria, dieci esperti potranno essere assunti alla Rgs e altri 160 presso le altre amministrazioni per l’attuazione del piano”.

Ma è bene stare con gli occhi ben aperti perché, negli anni, di riforme della PA se ne son viste parecchie, piccole e grandi, parziali o totali (o presunte tali) e sono finite tutte miseramente nel nulla. Anche se è vero che questa, per dimensioni, non è paragonabile alle altre, i numeri a ben guardare non sono tali da poter dire che si tratta di una rivoluzione, com’è stato detto. I dipendenti pubblici, da noi, tra quelli dello stato e quelli degli enti locali, sono circa 3 milioni e quindi quelle 25000 assunzioni rappresentano poco più dell’8% del totale. Anche in termini percentuali non si tratta di una rivoluzione. In media, in Europa, i dipendenti pubblici sono il 16% del quorum dei lavoratori; in Svezia e Danimarca sono il 20%, in Germania il 10%, ma in Francia siamo oltre il 20%. E noi navighiamo intorno al 14%, dunque siamo appena al di sotto della media europea. Ma allora perché le riforme fatte in passato non hanno funzionato?

La ragione è piuttosto semplice. Dipende dal fatto che per avere una buona pubblica amministrazione non basta avere tanti buoni dipendenti. Perché l’efficienza dei singoli e quella del sistema, nel suo complesso, dipendono soprattutto dalle regole che quei soggetti son chiamati ad applicare. E se le regole son fatte per complicare, invece che per semplificare, il personale serve a poco. E noi, purtroppo, abbiamo un sistema di regole che nessuno riesce più a districare, nemmeno con tutta la buona volontà di questo mondo. Ormai è un groviglio, una giungla, in cui nessuno si raccapezza più. Incomprensibile anche a chi lo deve gestire, come si legge anche in un’intervista al Corsera di questi giorni di Ernesto Maria Ruffini, direttore dell’Agenzia delle Entrate Ruffini: «Ecco chi ci blocca nella caccia all’evasione: abbiamo i dati ma non siamo autorizzati a usarli». Per parte mia potrei aggiungere considerazioni analoghe, per quel che concerne il governo del territorio e in particolare quello delle bellezze naturali.

Per altri settori si potrebbe dire lo stesso. Per questo, nessuna riforma ha funzionato. Magari, apparentemente, sembravano dei bei progetti di riforma, eleganti e ben presentati, che hanno incantato anche la stampa specializzata, ma non hanno funzionato, perché il sistema è stato costruito a caso, aggiungendo disposizioni normative una sull’altra, senza pensare ad alcuna forma di armonizzazione. Per cui, alla fine, accade che ci siano norme che cozzano fra di loro e altre che fanno a pugni con quelle di altri settori. Si è proceduto ammucchiando disposizioni una sull’altra, senza pensare a costruire un’architettura di sistema. Insomma, si è fatto come se al mio primo telefonino, quello che acquistai nel 1994, che allora pesava un bel mezzo chilo ed era dotato solo di un paio di funzioni, ne fossero state aggiunte nel tempo altre, fino a dotarlo di quelle che hanno adesso gli smartphone, ma senza aggiornare l’architettura del sistema. Se l’industria informatica avesse fatto così, oggi avremmo dei telefonini grandi come minimo come una scatola da scarpe e probabilmente non si riuscirebbe a fare neanche una chiamata.

Draghi ha anche troppo da fare e non gli si può chiedere dell’altro. Ma vedo che sulla questione della pandemia, il rapporto con il CTS l’ha avocato a sé per superare le vischiosità del sistema ministeriale. Forse dovrebbe far qualcosa del genere anche per la riforma della pubblica amministrazione, perché per fare una legge ci vuole poco e per dire che è la migliore del mondo ancora meno. Mentre per fare una riforma ci vuole ben altro. Noi un’occasione come questa non la possiamo perdere davvero.

 

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