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Politica

NON TUTTO FILA LISCIO

GIUSEPPE ADAMOLI - 25/06/2021

pd-m5sIl rapporto politico Pd-M5S è stato dapprima di feroce contrapposizione, poi controverso e tormentato. Ed ora? Per il prossimo futuro si può intravedere una stabile intesa?

Dunque: il Pd, con limiti e oscillazioni, ha sempre rappresentato il fulcro del centrosinistra e oggettivamente è stato un asse portante del Paese avendo passato dalla sua nascita (2007) più tempo al governo che all’opposizione e anche per la sua forza nelle autonomie territoriali.

I Cinquestelle, al contrario, si dichiaravano né di destra né di sinistra e si proclamavano una forza anti sistema. Nel primo governo con la Lega mostravano tratti “rivoltosi” evidenziati dall’indimenticabile visita ai gilet gialli francesi. Difficile dire che cosa sarebbero ora se Salvini non avesse fatto il clamoroso autogol del Papeete. Fatto sta che da allora hanno cominciato una sorta di rivoluzione (secondo alcuni di loro involuzione) che li ha portati al distacco dalla Lega, al governo con il Pd e poi con Draghi, fino alla faticosa ascesa di Conte alla leadership.

Da parte sua il Pd ha sfiorato il collasso sia dopo la fortissima sconfitta del 2018 e la fallita scissione di Renzi, sia dopo le improvvise e sconcertanti dimissioni di Zingaretti di qualche mese fa. La segreteria di Enrico Letta ha stabilizzato il quadro, posizionato il partito su un territorio riconoscibile di sinistra di governo e reso coerente l’appoggio a Draghi che “durerà fino al 2023 per il bene dell’Italia”.

Tutto liscio dunque? Solo nella migliore delle ipotesi. Nel Pd rimane la pesante ombra delle correnti di potere (benvenuto invece il confronto delle idee) mentre nel M5S resta impervia la strada di Conte alle prese con un forte scissione di fatto e con l’ingombrante presenza di Grillo.

Il dato positivo, oggi, è la reciproca volontà di incontrarsi per costituire l’alternativa alla destra di Meloni-Salvini. Notevole il cambio del linguaggio: non più “alleanza strategica” o addirittura “federazione” e non più “incontro passeggero di puro interesse elettorale”.

Impostazione realistica questa, eppure qualche serio errore è stato fatto subito dopo la nomina di Letta e la designazione di Conte: il principale è l’aver puntato sulle grandi città come cartina di tornasole dell’alleanza.

Errore per due motivi: uno perché il centrosinistra non accetta storicamente che le decisioni siano sistematicamente prese dal vertice nazionale come invece accade normalmente sull’altro versante. Due perché la situazione di fatto vedeva contrasti profondi e astiosi in città come Roma e Torino e anche altrove. Il quadro di Varese con un’alleanza guidata dal Pd che comprende sia il M5S che Italia Viva è una rarissima eccezione.

L’impostazione di Milano “Semmai ci vediamo al ballottaggio”, senza nemmeno programmare apparentamenti formali, era ed è quella più congeniale. Ed è il modo più produttivo per tutelare e rafforzare l’alleanza fra il centrosinistra più largo possibile e gli ex (?) grillini nelle elezioni generali del 2023.

Per mettere i cittadini in grado di scegliere da chi essere governati occorre che i partiti offrano una chiara alternativa chiudendo la disgraziata parentesi di questa legislatura con tre Esecutivi diversi sia pure in ascesa quanto a credibilità ed efficacia governativa.

 

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