Obbligato a ritirare la candidatura di Maroni, il centrodestra varesino s’adopera a costruire la pole alternativa, carezzando la suggestione Zocchi. Poi scarta l’ipotesi e ne accredita un’altra: ecco apparire Pinti. Sorgono obiezioni, spunta l’opzione Baroni. Neppure questa va bene. Nuovi conciliaboli, ‘avance’, mediazioni ed ecco la fumata bianca. L’hombre giusto si chiama Merletti. Un civico, con simpatie verso l’universo Lega-Forza Italia-Fratelli d’Italia. Lui ne è lusingato, prende il tempo necessario al definitivo sì, pare solo una formale riserva.
Macché. In extremis, rovesciamento del piano. Merletti fa un passo indietro. Rumoroso. Dichiara a ‘Malpensa 24′ che non tutti, tra quanti gli han proposto l’avventura, brillano di serietà. Nello specifico: ci sono dirigenti leghisti d’alto livello credibili, ce ne sono altri di segno contrario. Schietto, senza barocchismi politico-lessicali, il noto imprenditore artigiano e rappresentante di vertice nella categoria, si vede costretto a salutare la coalizione che doveva presiedere.
La sventura non è solo sul fronte che punta a rovesciare il bis cui tende Galimberti, dopo il primo quinquennio di sindaco a Varese. Il disastro è per la città: meriterebbe diversa chiarezza d’idee, armonia, determinazione negli aspiranti alla sua leadership. Conviene agl’interessi generali che la partita sia di livello; e i protagonisti di caratura speciale; e razionali, meditate, condivise le modalità per individuarli. Invece non va così. Il rischio è una soluzione di ripiego perché: 1) o prevale la nomination partigiana di tizio, subita a trattenuto ringhio da caio e sempronio, con rimbalzo negativo sul percorso propagandistico verso il voto; 2) o prevale il pescaggio d’una figura terza, di pallida tinta compromissoria e dunque nello status di non contentare nessuno così da non scontentare tutti. A margine: poiché si racconta che le persone pesano, ma i programmi ancor di più, quali programmi conformi al sentire di ciascuno possono scaturire dalla dissonanza che marchia tutti?
Sfortunato a dover subire il forfait di Maroni, il centrodestra non lo è nella ricerca del sostituto. Qui siamo in assenza d’ambasce meritevoli di comprensione, nell’attesa del loro sciogliersi. Qui siamo in presenza d’una goffaggine operativa imbarazzante per un cast partitico che ha dominato più legislature, espresso tre sindaci in un ventennio, polverizzato le ambizioni del centrosinistra sino al 2016, quando Galimberti prese Palazzo Estense. Qui siamo alla confusione nei partiti e al disorientamento nell’opinione pubblica. Qui siamo a uno spettacolo che Varese avrebbe voluto risparmiarsi. Si sbrighino, Lega Forza Italia e Fratelli d’Italia, a mandare in campo chi riscuota la loro fiducia, e sappia sfilare all’avversario le ambizioni di successo. La dialettica virtuosa è un vantaggio per tutti. Ne guadagnano la municipalità, lo spirito civico, il progresso amministrativo. Varese non è Babilonia.
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