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Artemixia

I DUE AMICI

LUISA NEGRI - 18/06/2021

verbaniaAl Museo del Paesaggio di Verbania, situato nel cuore di Pallanza, s’è aperta una mostra (fino al 3 ottobre) che racconta novità sul percorso dei due amici e colleghi, Carlo Carrà (1881-1966), maestro del Realismo magico, e Arturo Martini (1889-1947), esponente di primo piano di Valori Plastici e di Novecento.

La rassegna si intitola Carrà e Martini. Mito, visione e invenzione. L’opera grafica.

Non ve la raccontiamo qui, perché, come hanno sottolineato le curatrici, Elena Pontiggia e Federica Rabai -direttore dello stesso- si tratta di una mostra intima. Non solo si incontrano, accanto a pitture e belle sculture, diverse opere di grafica inedite provenienti dagli eredi degli artisti, ma si scopre che c’è stato tra i due, vicini nella vita e nella professione, un continuo confronto in un percorso di ripensamento rievocativo del cammino di ciascuno che sa di “album dei ricordi”.

Entrambi grandi e noti, non hanno mai smesso di farsi domande – soprattutto nel periodo difficile della guerra – sul loro mestiere e sulla vita. Martini, conosciuto come un grande scultore non solo in Italia, poneva all’amico domande sui suoi precedenti e anche attuali lavori -le amate pitture- quasi come un allievo fa con uno scolaro. A sua volta Carrà chiedeva conferme ad Arturo. Chi vuole accostarsi ai due può dunque cercarli nelle rinnovate sale del Museo del Paesaggio: è l’occasione anche per visitare nuove stanze mai prima aperte al pubblico, recuperate dall’abbandono, che consentono ora al Museo di essere pari ad altri importanti spazi espositivi del Paese. Accanto alle collezioni grafiche messe bene in mostra -siano disegni, linoleum, incisioni, acqueforti, e tanto altro- è questa amicale entente che insegna molto. Che dà l’esempio di come, nella vita e nel lavoro, ci siano intese che vanno oltre il momento della banalità del quotidiano. Così, mentre i due amici inseguono il segno di una ricerca professionale altissima, in un impegno di lavoro votato alla giusta severità, intrecciano indissolubili legami, resi più solidi da malinconie e euforie, oltre che da affinità artistiche e esistenziali che nessuna temperie può allentare. Il fascismo, la guerra e le ferite che preludono alla rinascita del dopoguerra lasciano segni e strascichi in entrambi, ben evidenti dalle loro opere. Le importanti grafiche che il museo propone lo raccontano al meglio, anche nell’uso dei materiali più poveri: che rendono così fieri i due di quel moderato uso di materie in tempi di ristrettezze economiche. Accusato di esser stato troppo aderente al Fascismo, Martini dirà poi di aver provato a crederci all’inizio visto che “sotto Giolitti gli era toccato di morire di fame”.

Se il Museo del Paesaggio espone la chicca di opere in parte nuove al pubblico, invia insieme, soprattutto, un forte messaggio: l‘arte e l’amicizia sono qui gli anelli forti di una catena artistica esistenziale nutrita da umanità, intelligenza, amore. Per la vita, per l’arte, per i fratelli che camminano accanto. Valori universali e senza tempo.

Mi ha fatto specie, poco dopo aver visitato la mostra, ritrovare inaspettatamente, sulla copertina di un libro del 1993 “Vitaliano Brancati e altri racconti”-riproposizione tascabile dell’editore Bompiani- la riproduzione di una splendida opera di Carrà, Il barcaiolo, un olio del ‘31. A ben guardarla, per dirla con la curatrice Elena Pontiggia, potrebbe apparire a sua volta ‘carica di elementi che danno alla realtà una cadenza stupefatta da Realismo magico, cioè “quel realismo preciso, immerso in un’ atmosfera di stupore lucido” teorizzato da Bontempelli nel 1927. Osservo il quadro. C’è una barca a bordo lago, forse ormai arrivata o forse in procinto di partire, la riva del lago è bionda e sabbiosa, lo specchio dell’acqua immobile, liscio e trasparente. Una candida vela si riflette, il barcaiolo siede sul bordo, è appena rientrato oppure se ne sta in attesa di una richiesta. Non sappiamo quale sarà, ma possiamo deciderlo noi, come ci piace. Le case rade di fronte, a pochi passi dall’acqua, appaiono addossate le une alle altre, come sorelle vigili e pronte. Sostenute da un antico, solido sentimento di confidenza e attesa. Di serenità e saggezza. Di umiltà e orgoglio. La testa del barcaiolo è protesa verso il lago. Sotto il suo cappello sghembo corrono forse i pensieri di un giorno che nasce e muore sempre nuovo e uguale a se stesso. C’è lentezza e profondità, lo sentiamo senza vederlo, in quello sguardo che non ci è dato di osservare, in quegli occhi che sappiamo riflettere i colori dell’acqua e del cielo.

Forse il barcaiolo è proprio un piccolo uomo alla Brancati, presago di un destino non lontano. Da condividere, scriveva illo tempore Geno Pampaloni, prefatore illustre del volume -“con una stremata compagnia di personaggi sperduti nel mare della vita come naufraghi cui non è tolta dal cuore l’immagine della terra felice. Una prosa musicale e sfumata, ove l’ironia corre sempre lungo un margine d’ombra, là dove potenzialmente aspettano dolore e pietà”.

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