E Papa Francesco rispose. Non obiettando, non ribattendo, ma facendosi, lui, successore di Pietro, garante della fede del “fratello” a cui “vuole bene”. Non cita canoni, commi del Diritto Canonico. Si esprime con il linguaggio del Vangelo: “È il cammino dello Spirito quello che dobbiamo seguire, e il punto di partenza è la confessione umile: ci siamo sbagliati, abbiamo peccato. Non ci salveranno le inchieste né il potere delle istituzioni. Non ci salverà il prestigio della nostra Chiesa che tende a dissimulare i suoi peccati; non ci salverà né il potere del denaro né l’opinione dei media (tante volte siamo troppo dipendenti da questi). Ci salverà la porta dell’Unico che può farlo e confessare la nostra nudità: “Ho peccato”, “abbiamo peccato”… e piangere e balbettare come possiamo quell’ “allontanati da me che sono un peccatore”, eredità che il primo Papa ha lasciato ai Papi e ai Vescovi della Chiesa. E allora sentiremo quella vergogna guaritrice che apre le porte alla compassione e alla tenerezza del Signore che ci è sempre vicino”.
Al cardinale, che aveva offerto le sue dimissioni da Arcivescovo di Monaco e Frisinga, papa Francesco si rivolge privilegiando la dimensione evangelica a quella istituzionale. La riforma della Chiesa (“Ecclesia semper reformanda”) di Francesco si chiama conversione. Se essa non c’è, non può annunciare la salvezza e non può chiedere all’umanità un cambiamento.
Mi hanno profondamente colpito le espressioni di papa Francesco e ho pensato che gli scandali, i chiacchiericci, le mormorazioni, anche gli scivolamenti delle mie idee sono espressione del mio poco amore per la Chiesa. Devo saper discernere gli idoli che si presentano al mio orizzonte e riconoscere che le mie colpe vanno ad aggiungersi alle rughe del viso di chi mi è madre e maestra, mentre con il mio esempio e con la mia fedeltà al tempo in cui vivo posso mantenere il suo volto sempre giovane.
La Chiesa, tutta la Chiesa, ha bisogno di essere corroborata dalla conversione dei suoi figli, ma non basteranno aggiustamenti cosmetici di natura esterna. Nella lettera in cui chiede al Papa di essere esonerato dal suo servizio pastorale, il card. Marx dice: “Mi pare di essere giunto a un punto morto che, però, potrebbe diventare di svolta secondo la mia speranza pasquale. “Punto morto” è un’espressione usata dal gesuita austriaco Alfred Delp, trucidato dai nazisti per la sua lotta contro Hitler. Lo stesso Delp aggiunge però in un altro suo scritto: “Chi non ha il coraggio di fare la storia, diventa il suo povero oggetto”.
Offrendo al Papa le sue dimissioni, il card. Marx si sente corresponsabile per le mancate riforme, forse frustrato davanti alla resistenza ai cambiamenti e lacerato da dubbi, ma sa che egli è “soggetto” della storia della Chiesa e non “oggetto” e compie un atto che non è di scoraggiamento o di timore di una disfatta per la Chiesa che egli ama. Le sue dimissioni se fossero frutto di una solitaria angoscia potrebbero apparire come una forma di rassegnazione. Respingendo le sue dimissioni, il Papa lo invita a continuare a provare “la vergogna guaritrice”, così come aveva pregato un caro monaco della nostra Chiesa e a non “scendere dalla croce”, per poter portare a termine lo slancio di rinnovamento della Chiesa tedesca.
Quali sono questi cambiamenti richiesti dal popolo di Dio che cammina nelle strade della Germania?
Conosco un po’ la Chiesa tedesca. Per cinque anni, il sabato sera, ho percorso quaranta chilometri di autostrada per andare a Treviri e partecipare all’Eucarestia in una chiesa dove la liturgia era ben curata, l’omelia accudita in modo tale che l’esistenza di ogni giorno fosse interpretata alla luce del Vangelo, i corali di Bach cantati in un’identica coralità intermezzati dalle suonate di organo, il tutto in un clima di compostezza che il Mistero esige. Il celebrante salutava i fedeli alla porta della chiesa e augurava la buona domenica.
Mi sono fatto l’idea di una Chiesa che viveva un cristianesimo “virile” in cui la spiritualità non conosceva il devozionismo zuccheroso, ma si nutriva della carità che, a sua volta, si innestava sulla verità. Era – e mi dispiace esprimermi in una coniugazione che indica il passato! – una Chiesa chiaroveggente dove i laici erano veramente al loro posto per adempiere la funzione che devono compiere nel mondo e nella Chiesa e la cui fede era sostenuta da una forza esistenziale. Era una Chiesa serena, non angosciata per chi incominciava ad allontanarsi, per i giovani attratti dal secolarismo. Era una Chiesa che non pretendeva da Dio delle garanzie, ma credeva in Lui e si fidava della sua grazia. È una Chiesa che anche oggi non dimostra interesse per il connubio con lo Stato, pur avendo alle spalle una stupefacente storia dell’impegno dei cattolici in politica, prima dell’avvento del nazismo. Col tempo, la vita del cristianesimo tedesco cambiò, sospinto anche dall’onda di certe decisioni disciplinari ambivalenti che provenivano dal cuore del cristianesimo.
Oggi le parole che più si pronunciano nella Chiesa tedesca – anche per farsi ascoltare – prendono la forma del paradosso o dello scandalo. Sono nati gruppi di cristiani che chiedono riforme istituzionali, teologiche, dottrinali e disciplinari: chiedono che al ministero sacerdotale siano ammesse le donne, che cambi il ruolo del prete nella comunità, che le unioni omosessuali siano benedette. Altri gruppi ritengono che la crisi sia del sistema a cui si deve rispondere solo con risposte sistemiche fondamentali. Altri gruppi rifiutano qualsiasi tipo di riforma e di innovazione e accusano papa Francesco di eresia.
Siamo al “punto morto” anche a proposito dello scandalo della pedofilia nella Chiesa? Per eliminare un errore non basta identificarlo, occorre cercarne l’origine e identificare la corrente di verità che indirettamente lo alimenta. In alcune chiese locali, i vescovi hanno chiesto ai preti di vivere in piccole fraternità per combattere la solitudine che spesso li attanaglia e che porta in alcuni casi il loro celibato ad essere collegato con gli abusi sessuali. In altre diocesi, i vescovi hanno nominato parroci i sacerdoti monaci delle abbazie che prestano servizio in determinati territori. Soprattutto la Chiesa ha indetto un sinodo nazionale in cui le diverse componenti si contrappongono creando sconcerto e tristezza, rigidità che nasce dalla paura del cambiamento.
In un’intervista a “Il Corriere della sera” – nel 2012 – il card. Martini così si interrogava: “La Chiesa è rimasta indietro di duecento anni. Come mai non si scuote? Abbiamo paura? Paura invece di coraggio? Comunque la fede è il fondamento della Chiesa. La fede, la fiducia, il coraggio…..Solo l’amore vince la stanchezza!”. È l’amore che ha spinto papa Francesco ad incoraggiare il card. Marx. Ed è l’amore che provocherà un punto di svolta per la chiesa tedesca.
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