Mancano ormai pochi mesi alle elezioni comunali, ma il confronto sul futuro di Varese stenta a decollare. Un silenzio programmatico che accomuna un po’ tutti salvo qualche rara eccezione. Nel frattempo però si moltiplicano gli annunci di candidati sindaci e liste, accompagnate da segni e segnali all’insegna del “con chi” stare, più che del “per cosa” fare.
Ed ecco allora la ricerca frenetica di alleati, la corsa a mettere insieme più forze, o debolezze, possibili. Non importa chi sei o da dove vieni, ma quanti voti puoi portare. Questo accade quando l’assillo principale è il risultato elettorale, mica il progetto. Perciò avanti con la produzione di liste e candidati perché, come continua a ripetermi un vecchio conoscente, l’importante è vincere, poi per il resto si vedrà. Eppure abbiamo cinque anni alle spalle in cui le liste sorte all’insegna del civismo o le candidature di richiamo si sono sciolte come neve al sole. La premessa e la promessa di costituire loro il salto di qualità utile alla città non si è avverato. Qualcuno si è forse interrogato sulle cause di questo dissolvimento? Qualcuno sta forse indicando criteri e modalità per impedire il ripetersi di simili scenari? E perché mai dovrebbero farlo, se l’obiettivo è solo e comunque quello di assemblare pezzi?
Certo il Sindaco uscente può vantare un dinamismo e risultati significativi. Soprattutto se confrontati al ventennio che l’ha preceduto, segnato dal dominio leghista. Una lunga stagione tanto prodiga di chiacchiere e invettive quanto inconcludente sul piano amministrativo. Anche se alcuni progetti di cui oggi si parla sono maturati, tardivamente e tra mille contraddizioni, nel quinquennio precedente, bisogna riconoscere che l’amministrazione guidata da Davide Galimberti ha saputo uscire dall’immobilismo precedente e, potendo contare su finanziamenti rilevanti, avviare una serie di opere significative per troppo tempo solo annunciate. Ovviamente non sono mancati limiti, ritardi, improvvisazioni, per non parlare delle litigiosità e degli sgambetti tra alleati e all’interno dello stesso PD.
Ma contano di più le mancanze gravi. Come, ad esempio, la mancata revisione del PGT, Piano di Governo del Territorio. Ancora oggi nessuno sa se la “variante”, annunciata nell’ultima campagna elettorale, vedrà mai la luce. Un problema serissimo, visto che stiamo parlando del “disegno” della città, delle linee guida e delle scelte che plasmerebbero la Varese del futuro. Temi rilevanti e di estrema attualità, che andrebbero rivisitati e rielaborati alla luce degli effetti prodotti dalla pandemia anche nel nostro tessuto sociale.
Se il PGT approvato dalla Giunta Fontana era già vecchio quando è nato (si fondava su dati analitici risalenti al 2008/2009), oggi la revisione è quanto mai necessaria sia per ridimensionare le scelte “volumetriche” di quel piano, incompatibili con il principio del “consumo di suolo zero”, che per riformulare l’idea stessa dell’urbanistica: oggi ancora tutta incentrata sugli aspetti “edificatori” più che sul benessere dei cittadini.
Un futuro urbano diverso si impone. Un ripensamento sui modi di abitare, lavorare e vivere la città si impone. Ce lo dice la pandemia. Quella novità devastante che nell’ultimo anno e mezzo, tra tante altre cose, ha rivelato la fragilità del nostro tessuto sociale e le conseguenze di decenni in cui la regola dominante, dai governi nazionali a quelli locali, è stata condizionata e persino guidata dalle logiche di mercato e dalle privatizzazioni. Tutti hanno potuto constatare, soprattutto nel sistema sanitario, gli effetti nefasti di idee e scelte che apparivano moderne e vincenti. Ma la pandemia ha messo a nudo anche l’inadeguatezza del sistema scolastico e dei trasporti pubblici, ha reso ancora più acute le disuguaglianze sociali. Quindi si impongono oggi riflessioni e sperimentazioni nuove. Ma per farlo bisogna abbandonare definitivamente i vecchi schemi di una politica politicante il cui orizzonte si esaurisce in pratiche elettoralistiche e autoreferenziali.
Mancano solo pochi mesi al voto e sarebbe ora di spostare l’attenzione dai tatticismi alle strategie, dai candidati ai programmi. Un percorso obbligato che impone di interrogarsi su come è cambiata Varese nell’ultimo anno e mezzo. Qualcuno ha forse attivato centri di ricerca e competenze per avere una fotografia dell’esistente? Non risulta. E allora cosa sono i programmi se non si parte dalla realtà e dai suoi mutamenti? Riproporre i vecchi rituali come se nel frattempo nulla fosse cambiato è una prova di miopia politica e di autolesionismo.
Più che rincorrere questo o quello sarebbe opportuno interrogarsi sullo stato d’animo dei varesini, sulle loro domande e i loro bisogni reali. E interrogarsi pure sulla situazione di quel 12% di cittadini sempre ignorati e per i quali sarebbe ora di dare vita ad un loro organismo di rappresentanza.
La pandemia ha ulteriormente aggravato la situazione sociale complessa, per molti gravissima, prodotta dalla interminabile crisi cominciata nel 2008. Ha aumentato distanze sociali e frustrazioni tra i cittadini.
Sono cambiati gli umori, le aspettative, le aspirazioni. E non è per niente facile immaginare con quale e quanta voglia affronteranno la prossima scadenza elettorale.
Vorrei ricordare che già nel 2016 i varesini al voto furono 55,9% al primo turno e 50,2% al ballottaggio. Un esito preoccupante, ma volutamente ignorato e rimosso, da tutti.
Forse è proprio da qui che bisognerebbe partire per comprendere la necessità di imprimere nel fare politica una svolta vera, non più rinviabile. Certo è difficile riuscirci compiutamente nel lasso di tempo che ci separa dal voto. Però almeno tentare sarebbe auspicabile e apprezzabile.
Ciò che va evitato sono le ammucchiate incolori e dal profilo sfuggente. Una coalizione progressista e di sinistra è cosa ben diversa da, come giustamente scrive Enzo Laforgia, un frullato in cui siano mescolati ingredienti incompatibili. Un modo per distinguersi c’è ed è quello di aprire la sfida sui contenuti, su una idea di città, progressista, accogliente, inclusiva, capace di trasformarsi rimettendo al centro le periferie e la sua dimensione umana.
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