Nel momento in cui i tasti hanno cominciato a lasciare il segno su questo foglio, non conosco ancora il nome del candidato del centrodestra o della Lega che sfiderà Davide Galimberti nella competizione elettorale che si terrà in autunno.
La campagna elettorale, tuttavia, da dei primi segni e così si vedono i gazebo con le bandiere dei diversi partiti nelle piazze, alcune conferenze stampa per lanciare messaggi e banner su questo e quell’altro sito. Al di là di queste avvisaglie mi permetto di porre due elementi di riflessione. E lo faccio a distanza dal voto così da far si che i pozzi avvelenati dalla propaganda e dalla ricerca delle preferenze non inficino l’oggettività di chi avrà la pazienza di leggere.
Il primo spunto che io reputo interessante come elemento di riflessione il seguente: è da quasi un anno e mezzo che, dal centrodestra ed in particolare dalla Lega salvinizzata di Varese, si sente solo ed unicamente ripetere il mantra relativo al candidato. Al di là della vicenda Maroni, persona a cui tutti riconoscono doti e a cui tutti auguriamo il bene, dalla Lega agli alleati e agli elettori nonché ai cittadini varesini, da un anno e mezzo a questa parte, sentiamo solo ripetere e porre il tema del chi dovrà essere il candidato per sfidare Galimberti. Ebbene, il mantra viene continuamente posto, riproposto ed enfatizzato, ma nulla e dicasi proprio nulla si sente esprimere in maniera compiuta e non a modo di slogan sui contenuti che dovrebbero costituire la parte centrale di una strategia politica da parte di chi, da cinque anni, siede all’opposizione. Secondo aspetto che mi pare non secondario e che talvolta sfugge alla riflessione. La politica, a qualsiasi livello, nel momento in cui si concretizza con la vittoria alle elezioni, da sempre, mette in luce due approcci.
Quando si vincono le elezioni, chi le ha vinte può o comandare o governare. E non sono sinonimi. Comandare significa esercitare un potere e lo si fa solo ascoltando la propria fazione, i propri elettori e rifiutando il dialogo. Governare non è solo l’esercizio democratico di un potere, ma anche e soprattutto la capacità di interpretare anche gli interessi e le opinioni di chi non ti ha votato e di chi siede, magari, nell’emiciclo di Palazzo Estense, sui banchi dell’opposizione e può convergere, senza pregiudizio alcuno, sulle tue proposte o viceversa, se fatte con buon senso e senza rancore.
Sono due stili diversi e due comportamenti politici alternativi. Ora, quello che è accaduto in questi ultimi cinque anni ha proprio messo in evidenza questi di due approcci. La prendo da lontano nel mio ragionare. Avendo una certa esperienza di consiglio comunale ed essendo stato all’opposizione per circa dieci anni ricordo perfettamente le teorizzazioni, le dichiarazioni dei sindaci leghisti e di quelli che oggi sono ex assessori leghisti parcheggiati all’opposizione. La Lega ha vinto, la Lega comanda. E questo in una logica giustificatoria alquanto stramba mirante a ritenere che ogni forma di dialogo con l’opposizione o di accettazione delle proposte da parte di chi aveva vinto le elezioni dovesse rientrare nelle categorie della commistione, del consociativismo e dell’”inciucio”, tutte vissute con terrore dal ceto leghista imperante. Insomma, nel periodo della Lega dominante la presunzione del comandare nasceva dall’idea distorta che il vincere le elezioni dava un potere esclusivo, privo di qualsiasi mediazione o dialogo con chi non ti aveva votato e questo, unito alla continua esposizione muscolare del proprio verbo, di fatto, impediva qualsiasi confronto sul bene della città, esprimendo una sorta di dominio proprietario dell’Istituzione alimentando quel corto circuito che porta generalmente a fare scelte a favore dei propri sostenitori e non alla oggettiva soddisfazione di un bisogno rispetto a chiunque lo manifesti. Senza cadere nella psicologia spicciola sulla paure al confronto e sull’assenza di cultura istituzionale, senza appunto cadere in questo, uno spaccato non tanto minoritario di quell’atteggiamento muscolare e di logica del possesso, per cui si è proprietari dell’Istituzione e non rispettosi di quel mandato elettorale anche nei confronti di chi non ti ha votato, è il retaggio rimasto nella mente di chi, in questi cinque anni, ha fatto opposizione alla giunta di centrosinistra di Galimberti.
Insomma, quando si è stati al potere per 23 anni e quando si è infarciti di una cultura politica fatta solo di esposizione muscolare, di forza dei numeri, ma non di capacità di dialogo e di comprensione delle ragioni anche degli altri, ebbene, tutto questo è difficile dimenticarlo e cambiare pelle all’opposizione. Così abbiamo vissuto questi cinque anni in cui la Lega ha perso il potere ed è finita sui banchi della minoranza con lo stesso atteggiamento prima culturale e poi amministrativo di chi, non riuscendo a capire le ragioni della sconfitta, ha continuato a mantenere lo stesso atteggiamento di quando “comandava”. Incapaci di assumere un ruolo diverso, sprezzanti nei toni rasentando l’offensivo e l’insulto ogni qualvolta si doveva e poteva costruire un confronto aperto e tollerante rispetto alle idee sulla città e sul suo futuro.
Insomma, c’è uno stile politico a stare al governo e uno stile a stare all’opposizione. Se prevalgono gli atteggiamenti “biliari” in chi non si capacità del perché gli elettori hanno bocciato 23 anni di potere assoluto diventa difficile anche per chi crede nella politica del confronto e nel dialogo per il bene della città poter esercitare il ruolo di maggioranza e di governo. Nelle Istituzioni ci si siede in due, maggioranza e opposizione. Se trasporti la stessa cultura “proprietaria” di quando esercitavi il potere anche all’opposizione, se non ti sei liberato dalle scorie e se non ti sei dato le ragioni del perché non rappresenti più la società intorno a te e non ti sei rinnovato, tutto diventa difficile perché alzi un muro di fronte ad ogni proposta solo perché persegui la logica del “tanto peggio tanto meglio” alla faccia di ogni ragionamento sul bene comune. Ogni mandato amministrativo raccoglie in se interventi apprezzabili, condivisi e altri meno. Trovo assurdo un intervento politico che si riduca al giudizio totalmente negativo dell’azione dell’avversario. E così banalmente solo chi è accecato dalla lettura ideologica può oggi negare il vorticoso cambio di passo che l’Amministrazione Galimberti ha saputo introdurre e innovare rispetto al passato. Poi, come sempre, si può essere d’accordo oppure no, ma di qui a negare l’evidenza e una analisi obiettiva ne passa di acqua sotto i ponti. Ed è per questo che non posso esimermi dalla domanda ricorrente: come possono gli elettori moderati, che certamente non sono scomparsi, che non amano lo scontro settario e credono che l’esercizio del potere possa prescindere dalle contrapposizioni e ricercare il bene comune, come possano riconoscersi in questa modalità e in questa prassi leghista e dargli credito per i prossimi anni volgendo lo sguardo al passato?
Roberto Molinari, Direzione P.le PD Varese
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