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Attualità

SENZA PACE

LIVIO GHIRINGHELLI - 11/06/2021

Aung San Suu Kyi

Aung San Suu Kyi

Il 1 febbraio 2021 Min Aung Hlaing, capo del Tatmadaw, l’esercito birmano, con un colpo di Stato ha posto fine all’esperimento semidemocratico in corso in quel Paese. Nominato capo dell’esercito al posto del generale Tan Shwe, padrone del Paese dal 1992 al 2011 ed esponente di primario rilievo del Tatmadaw, aveva garantito la continuità schiacciante dell’influenza militare sulla vita politica birmana, anche grazie alla Costituzione redatta dai militari nel 2008. Con il colpo di Stato attuato a poche ore dall’inaugurazione del nuovo Parlamento con la denuncia capziosa di irregolarità nelle votazioni dello scorso novembre, si è spenta ogni possibilità di evoluzione in senso democratico della politica birmana. Si è così resa nulla la vittoria schiacciante della National League for Democracy (NLD) guidata dalla leader Nobel per la Pace Aung San Suu Kyi. Di qui la paura dei generali di perdere potere e privilegi, come degli ambienti dell’Union Solidarity and Development Party (USDP), pur tenendo conto del fatto che, indipendentemente dall’esito delle elezioni in Parlamento l’esercito dispone di un quarto dei seggi, occupando e controllando al contempo i Ministeri dell’Interno, della Difesa e degli Affari di confine; grazie alla presenza della Giunta militare nel Consiglio per la difesa e la sicurezza nazionale avrebbe potuto modificare le leggi ritenute pericolose per la difesa e la sicurezza del Paese.

La soggezione e la maledizione del Myanmar (Birmania) è dovuta alle sue vaste risorse naturali, proprietà di una piccola minoranza oligarchica, mentre pesanti condizionamenti sono esercitati dalla Cina, storica alleata del Tatmadaw, che punta a sviluppare, grazie alla Birmania, una nuova rotta commerciale alternativa allo Stretto di Malacca, con l’importazione dell’ottanta per cento del petrolio. Le proteste, sanguinosamente affrontate dalle milizie della repressione, hanno coinvolto in modo pacifico gran parte della società civile e persone di ogni credo religioso (i cattolici contano 750.000 fedeli in tutto il Paese). Aung San Suu Kyi è stata illegalmente arrestata. A Mandalay, secondo centro della Birmania, è sceso in piazza anche l’Arcivescovo Marco Tin Win. Le attuali proteste sono le più grandi dopo quelle registrate ai tempi della Rivoluzione dello Zafferano (settembre 2007). Sullo sfondo anche le violenze atroci perpetrate dal regime contro la minoranza musulmana Rohinga, costretta nel 2017 all’esodo di massa nel Bangladesh.

Situazione non meno terribile quella della Siria, a causa della tragedia umanitaria più grande del dopoguerra stando alla Dichiarazione dell’ONU. Nel marzo del 2011 i giovani protagonisti delle proteste contro il Governo dittatoriale del Presidente Bashar al Assad (alla guida della Siria dal 2000) avevano rivendicato un cambiamento radicale di riforme anti-crisi. Da quella data sono trascorsi dieci anni di guerra e di violenze e si è sempre più aggravato il gioco geopolitico delle alleanze fra le potenze della regione e quelle orientali (Russia e Stati Uniti in primis).Si sono rivoltati contro il regime i movimenti islamisti (specie i Fratelli Musulmani), sostenuti finanziariamente dai Paesi del Golfo, poi lo Stato islamico. Assad con l’aiuto dei russi si è ripresa gran parte del territorio. Poi lo scontro tra sunniti e sciiti (i primi costituendo la maggioranza della popolazione, mentre Assad appartiene al gruppo sciita). L’escalation è stata progressiva dal livello locale a quello internazionale. La maggioranza del territorio soggiace ancora al Presidente Assad e comprende la capitale Damasco con le città principali grazie anche agli aiuti militari e di expertise dei russi. A Nord-Est del Paese di fatto c’è il controllo esercitato dai curdi siriani, sostenuti dagli Stati Uniti e alleati col PKK (Partito dei lavoratori), che la Turchia ritiene di ispirazione terrorista. Qui stanno le grandi riserve d’acqua del Tigri e dell’Eufrate, i giacimenti di petrolio e gas, la fondamentale produzione di cereali e grano. A Nord-Ovest la regione poco estesa di Idlib, ove si arresta il residuo degli islamisti in lotta contro Assad col sostegno della Turchia.

Le elezioni presidenziali previste per quest’anno si sono svolte in un clima di grande instabilità e incertezza. Al momento esercitano tutta la loro influenza sugli sviluppi della situazione le potenze regionali straniere (Turchia, Iran, Arabia Saudita) legate ai vari gruppi, ma soprattutto, su fronti opposti, Cina e Russia, contrarie a ogni risoluzione sfavorevole ad Assad e Stati Uniti e Unione Europea sull’altro versante. La prima esigenza d’ogni siriano è la sopravvivenza (scarsità di beni alimentari e di farmaci, imponente la diffusione del virus). Il 90 % della popolazione non raggiunge il minimo vitale, enorme è il costo della vita (carenti il gas per il riscaldamento e la benzina per la circolazione dei veicoli, ridotta l’erogazione dell’energia elettrica). È distrutta la metà dei presidi ospedalieri, c’è la fuga di molti medici e infermieri. Circa cinque milioni e mezzo di siriani ha lasciato il Paese, oltre sei milioni sono gli sfollati interni, quasi sparita è la generazione tra i 20 e i 40 anni. Le Chiese non hanno abbandonato il popolo, sono molto attivi la Caritas e il Jesuit Refugee Service. Prima della guerra in Siria si contavano un milione e mezzo di cristiani (il 5% della popolazione). Immenso è il panorama delle rovine.

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