Con una semplice parabola Gesù esorta il padrone di casa a non invitare a pranzo i propri pari, bensì i poveri e i bisognosi che non possono ricambiare l’invito. È questa un’altra dimensione della carità. In questo modo egli critica l’usanza degli inviti reciproci tra benestanti, regolata dalla legge del profitto, e introduce un aspetto di novità e di rottura portato dalla vicinanza del Regno. Infatti era usanza diffusa quella di stabilire relazioni con persone del proprio livello, con le quali c’era comunione e scambio reciproco. Tale attenzione e disponibilità verso parenti e amici era fondata sui vincoli del sangue e della relazione affettiva, non senza la speranza di riceverne il contraccambio. Evidentemente da questa cerchia venivano esclusi i poveri e gli svantaggiati secondo la logica umana, dato che la relazione con loro non comportava nessun guadagno sul piano economico e sociale.
Gesù non vuole qui sconsigliare i pranzi e le cene tra parenti e amici; lui stesso mangiava abitualmente coi suoi discepoli… Ma non approva l’esclusione sistematica di quanti sono indigenti (che non sono invitati perché non possono ricambiare il favore ricevuto). I farisei del tempo di Gesù erano i degni rappresentanti di una convenzione sociale comunissima: la reciprocità basata sulla legge del ‘do ut des’ (io ti do, così tu mi dai): una reciprocità chiusa in se stessa, fondata sui calcoli e non sul disinteresse. Questa reciprocità davanti a Dio è sterile, perché nasconde il pericolo di rimanere insensibili verso il mondo dei poveri. La novità portata da Gesù richiede una nuova relazione: l’amore che non calcola e che toglie la discriminazione tra gli uomini.
Così a quattro sostantivi (amici, parenti, fratelli, vicini) ne vengono opposti altri quattro: poveri, storpi, zoppi, ciechi. Gli ultimi tre erano esclusi dal culto del tempio e quindi dalla comunità di Dio. Non a caso proprio con essi Gesù entrava in comunione di tavola e proponeva la vicinanza di Dio.
Per i credenti questa parabola è un appello ad imitare il comportamento del maestro, che solidarizzava con gli emarginati, mangiando con loro. Per i ricchi era un invito al buon uso della ricchezza, che sta nell’aiutare i poveri, per prepararsi un tesoro in cielo. Inoltre i quattro sostantivi che indicano i bisognosi nella parabola del grande banchetto sono diventati coloro che hanno risposto alla chiamata e accolto la salvezza. Regola di vita, per Gesù, è la gratuità, al posto del calcolo opportunistico come è preferibile la compagnia di gente semplice, evitando scelte dettate dalla logica del potere.
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