“Il coraggio, uno, se non ce l’ha, mica se lo può dare..!”- dice il presidente della CEI salutando Papa Francesco arrivato ad aprire l’assemblea generale dei vescovi italiani. Ho notato che la citazione manzoniana – che ricorda la risposta di don Abbondio al card. Federigo – non è stata riferita dagli organi di stampa e dai social.
Per me, invece, questa citazione è vitale per poter scorgere, approfondire, amare e realizzare le sfide, le urgenze e le domande che il mondo d’oggi pone alla Chiesa e che essa dovrà fronteggiare.
La mia generazione è legata al Concilio Vaticano II°, alla trepida attesa delle sue decisioni, alla gioia per l’attuazione dei suoi propositi, ma anche alla sofferenza perché il Concilio non è stato recepito e talvolta contraddetto nelle sue istanze. Uno dei messaggi che ci ha lasciati il Concilio è che la Chiesa è il “popolo santo di Dio che è missionario e pellegrino in questa terra”. Essa annuncia il Regno di Dio agli uomini camminando con essi, non si arrocca in una cittadella assediata per difendersi dagli attacchi, ma diventa spazio di dialogo, luogo di confronto fra atteggiamenti individuali e sociali diversi, ma non per questo contrapposti. I cristiani sono solidali anche con chi ha un’etica difforme dalla loro, ma sono desiderosi di costruire assieme un autentico umanesimo.
Secondo questa visione di Chiesa, negli anni post-conciliari, la Chiesa italiana ha tenuto ogni anno, a partire dal 1976, dei convegni ecclesiali nazionali: a Roma (1976), a Loreto (1985), a Palermo (1995), a Verona (2006) e a Firenze (2015). Durante i lavori, ai quali partecipavano rappresentanti delle diocesi, delle associazioni e dei movimenti nominati “dall’alto”, sono stati affrontati temi che hanno guidato l’aggiornamento della Chiesa italiana. Il sinodo, di cui si è parlato durante l’ultima assemblea generale dei vescovi, non è un convegno, bensì un sinodo, un nome che indica con urgenza un modo di fare chiesa, di essere chiesa, di vivere la chiesa. È una parola d’origine greca che indica una convocazione e un camminare assieme in un clima di fraternità per aggiornarsi all’”oggi di Dio”.
Ancora non si sa come il sinodo sarà strutturato. Si parla di tre anni, a partire dal prossimo autunno: nel primo anno si “ascolterà”: tutti i fedeli, dalla più piccola parrocchia di montagna alla più grandi parrocchie di periferia, le associazioni, i movimenti, vescovi, presbiteri, consacrati, laici saranno chiamati a dialogare e a dare il loro specifico contributo. Il secondo anno sarà l’anno della “ricerca” e il terzo quello della “proposta”. A differenza dei convegni, il sinodo partirà “dal basso” e sarà illuminato dal pensiero esposto al convegno di Firenze, come ha suggerito papa Francesco nell’introdurre i lavori dell’assemblea episcopale.
Tutta la Chiesa chiamata a camminare assieme avrà bisogno di coraggio. Coraggio per non trascinarsi dietro il “già fatto”, il quieto vivere, la rassegnazione di resistere ad un’esistenza grigia e triste. Coraggio che è tendere verso progetti che possono sembrare impossibili. Coraggio che è aprirsi verso il nuovo che è già in mezzo a noi. Coraggio che non è incoscienza, ma carica necessaria che tende al meglio. Coraggio che non alienazione per controllare le coscienze, ma che diventa utopia per essere “perfetti come il Padre celeste”. Coraggio che non è imprudenza, ma discernimento. Coraggio che non conta sugli uomini, ma sull’aiuto imprescindibile dello Spirito che unisce gli opposti rischi e porta tutto a unità.
Questa Chiesa sinodale sarà una Chiesa in cui tutti avranno diritto alla parola perché riconosciuti capaci di essere membra del corpo di Cristo, battezzati e testimoni del Vangelo nel mondo con l’esempio della loro vita. La Chiesa sinodale durante il suo cammino vivrà il principio espresso dalla tradizione cristiana: “ciò che riguarda tutti deve essere discusso e approvato da tutti”, insieme all’altro: “cercare la verità nella dolcezza della compagnia”.
Ci sarà bisogno del coraggio di parlare con franchezza. Chi scrive partecipò ai lavori di una commissione al convegno di Loreto. Ricordo che In quella commissione ci fu un dibattito acceso tra coloro che imputavano la crisi del secolarismo ai cristiani del dissenso e chi ai movimenti. Ci affrontammo attorno ai nostri piccoli fastidi e alle nostre beghe. Al contrario, parlare con “parresìa” non significa escludere l’altro, ma dargli ascolto; senza assumere metodi in contraddizione con la verità, comprenderlo, sapendo che chi ha il compito di conferire ordine all’esercizio della parola è lui stesso servo di essa e della comunione. La titubanza è un pericolo!
Ci sarà bisogno del coraggio di non cedere al clericalismo. Nel cammino che si fa assieme, i pastori stiano in mezzo al gregge e non davanti! Ci invitò a questo atteggiamento papa Francesco nel convegno di Firenze, avvertendoci di non cadere nel peccato di cercare “soluzioni in conservatorismi o fondamentalismi…ad avere fiducia nelle strutture…a cercare di risolvere i problemi nell’ennesimo piano per cambiare le strutture”, ma di lasciarci guidare dalla leggerezza dello Spirito “che ci rende umili”, a “innestarci o radicarci in Cristo”, senza assumere uno stile “di controllo, di durezza, di normatività” che ci rende rigidi. L’autoreferenzialità è un pericolo!
Ci sarà bisogno, infine, del coraggio perché il Sinodo non finisca negli archivi. Dopo il sinodo, termineranno le parole e inizierà il tempo dei gesti e delle opere. Sempre a Firenze – sei anni fa – Papa Francesco indicò lo “gnosticismo””, quale pericolo da evitare. I discorsi accademici, i ragionamenti logici e chiari possono far perdere “la tenerezza della carne del fratello”. La fede rinchiusa nei libri è un pericolo!
Nel sinodo italiano s’intrecceranno linguaggi, opinioni, significati: le domande dal basso diventeranno interrogativi per tutti, i dubbi di qualcuno scuoteranno le certezze di molti e le convinzioni di tanti interpelleranno quelle di pochi. E la Chiesa di Dio che è in Italia diverrà luogo di pacificazione e di incontro per molti. Purché abbia coraggio.
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