Ha voglia Francesco di predicare un’economia umana e temperata dai valori cristiani, di condannare il capitalismo sfrenato e l’idolo del profitto a tutti i costi, di sostenere che il benessere e la felicità delle persone contano più della crescita dei redditi. Le quasi tre vittime al giorno in incidenti sul lavoro che si registrano dall’inizio dell’anno sono un pesante atto d’accusa contro la superficialità, la scarsa attenzione, l’assenza di controlli e la mancata tutela dei lavoratori. Nel 2020, nonostante il lockdown, i morti sul lavoro denunciati all’Inail furono 1270 e nei primi quattro mesi del 2021 sono già 306, in aumento del 9,3% sullo scorso anno (+26): 2,55 al giorno.
Crescono anche i decessi avvenuti direttamente sul posto di lavoro, 258 tra gennaio e aprile (+38). È il drammatico segnale che la macchina produttiva si è rimessa in moto dopo il fermi-tutti della pandemia e lo fa con più fretta, con meno attenzione alle regole anche morali, dimenticando cautele e prudenza. Quasi che la deregulation per la ripresa ad ogni costo sia in grado, da sola, di sconfiggere il virus. Non consola il fatto che nel 1962 gli infortuni letali fossero 4000, con una spaventosa media giornaliera. Il cammino da fare è ancora lungo e la cronaca lo testimonia con lo stillicidio di continue, tragiche notizie.
I due operai senza maschera di protezione soffocati nella vasca di smaltimento degli scarti di macellazione in un’azienda del Pavese e le 14 vittime nel disastro colposo della funivia del Mottarone sono solo i casi più recenti di gestioni irresponsabili. Morire di lavoro o per gli effetti di comportamenti inaccettabili di chi il lavoro lo gestisce. Faciloneria, cupidigia, avidità, che cosa muove in taluni casi i comportamenti umani? L’editorialista Antonio Polito parla sul Corriere della Sera di etica smarrita del capitalismo: “Qualsiasi azione umana deve essere sostenuta da un principio morale di responsabilità verso gli altri, altrimenti è solo un atto di sopraffazione”.
Enzo Bianchi, il fondatore della comunità monastica di Bose, cita Paolo di Tarso nella rubrica che cura sul quotidiano La Repubblica: “La radice di tutti i mali è la cupiditas, l’amore insaziabile per il guadagno – scrive – Quando una persona è presa in questo vortice diventa idolatra e cade in balia di una forza cieca. Il desiderio che non si autolimita è mortifero e trasforma il soggetto che desidera in omicida. Si pensi al crollo del ponte di Genova o all’incidente della funivia del Mottarone. Non è stato il caso, non un errore umano, ma il disattendere consapevole gli elementari doveri assunti in un’impresa”.
Antonio Padellaro si scaglia sul Fatto Quotidiano contro “l’Italia del massimo ribasso, una procedura che ha molto a che fare con quella cultura, diciamo così d’impresa, che pur di aggiudicarsi un appalto – o di garantirsi gli incassi di giornata – riduce i costi all’inverosimile, comprimendo i salari e favorendo il lavoro in nero”. L’Espresso elenca le criticità di un’Italia che si sbriciola per interessi e incuria e Cesare Damiano, consulente economico del ministro Orlando e consigliere d’amministrazione dell’Inail, pensa a una patente a punti per le imprese, un “rating di virtuosità” in termini di sicurezza da valutare nelle gare d’appalto.
La riflessione investe ogni aspetto della convivenza civile, anche la politica e il governo del Paese. Solo la ferma reazione dei sindacati e delle associazioni antimafia ha impedito che nel piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) per gestire le risorse del Recovery Fund, si imponessero le scorciatoie del massimo ribasso negli appalti pubblici e del subappalto libero a scapito delle necessarie tutele di chi lavora. Dopo la pandemia, le parole d’ordine per sveltire la ripresa paiono essere semplificazione, mani libere nella gestione del lavoro, niente regole, procedure speciali e silenzio-assenso per aggirare le norme. Tutto buono pur di tagliare i costi.
Ma non è solo un problema di oggi e basta dare uno sguardo al passato per rendersene conto. Voltandosi indietro c’è un lungo elenco di croci. Il rogo della Thyssen nel 2007, il disastro ferroviario di Viareggio nel 2009, le mortali patologie all’Ilva di Taranto, i tanti ponti crollati in Italia negli ultimi dieci anni – dal cavalcavia sulla Milano-Lecco a quello sul fiume Magra tra Massa e La Spezia – le alluvioni che hanno sepolto aree del Paese sotto il fango disegnano la mappa delle inadempienze. E a tre anni dal crollo del viadotto Morandi è inestricabile il rebus delle responsabilità civili, amministrative e penali per le mancate manutenzioni. Le 43 vittime del tragico 14 agosto 2018 attendono ancora giustizia.
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