Non sembra una grande idea, se è una sua idea, quella di Salvini d’apparentarsi con Berlusconi. Tutt’e due sotto le medesime insegne, una roba tipo “Forza Italia Lega” o similia, per far cosa? Solo per contrastare l’arrembante avanzata della Meloni. Strategia del “contro” anziché del “pro”, giusto quella che da sempre risulta fallimentare, su qualunque versante politico.
Magari a Berlusconi, prono a una sgradevole diaspora (l’hanno appena piantato i fondatori di “Coraggio Italia”, Toti e Brugnaro, con una ventina di parlamentari), fa gioco limitare la visibilità delle perdite mischiandosi con le schiere del Capitano. Ma al Capitano che vantaggio ne viene? Direte: la candidatura alla presidenza del Consiglio alla prossima botta elettorale, se i due partiti si fondono e ne nasce uno più forte di quello della Meloni. Ma quale certezza c’è che le cose vadano in tal senso? E se la Meloni dovesse salire ancora nei consensi, complici le amministrative d’autunno, e il tandem Berlusconi-Salvini decrescere? Poi: con quale argomento logico Salvini spiegherà che a Roma sta con Berlusconi e a Bruxelles no, preferendo all’adesione al Partito popolare europeo la stanzialità nel ricovero sovranista? Non tutti i cittadini votanti plaudono allocchiti al rigirar di frittate.
Tra l’altro, mentre nell’affannata rincorsa alla stella emergente di Fratelli d’Italia il segretario leghista perde favori invece d’acquisirne, la rivale ne guadagna nel suo versus Draghi al modo dei conservatori anziché degli estremisti. Non a caso sta al vertice europeo del Partito (appunto) conservatore; e non a caso il rapporto col signore di Palazzo Chigi è buono. Forse ottimo alla lunga, se Draghi arruolerà la Meloni in alcune delle riforme strutturali progettate; e se la condizionerà nella scelta del nuovo presidente della Repubblica. Che non sarà lui, Marione, perché conviene a molti, e al Paese innanzitutto, che resti dov’è sino all’epilogo della legislatura. Però Marione dirà con autorevolezza la sua, da ascoltato super partes.
Risultato finale: Salvini rischia di giocar male le prossime partite in calendario: quelle del Quirinale, di Palazzo Chigi, del Parlamento edizione 2023, perfino della leadership leghista. Se il suo agire contraddittorio, mezzo di lotta e mezzo di governo, dovesse procurar danni superiori ai vantaggi, le alternative a succedergli son belle e pronte: o Zaia o Giorgetti. Certo meglio rispondenti a una figura moderata in grado di riassumere, al vertice di “Forza Italia Lega” o similia, le caratteristiche funzionali a esprimere un capo condiviso del moderatismo concorrenziale al centrosinistra. Sempre che, nel frattempo, il fenomeno Meloni non diventi dirompente, con sorpasso della Lega e conquista del primo posto fra i partiti italiani. Non ci crede nessuno, per ora. Ma nessuno credeva al trionfo dei grillini, a quello di Salvini, ai due governi gialloverde e giallorosso, alla semiunità nazionale sotto le insegne dell’ex numero uno della Bce eccetera. Siamo nella stagione delle sorprese, non è il tempo di meravigliarsi di nulla. Né a esorcizzare la Meloni basta dire che siamo proprio alla frutta.
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