(S) Che ne dite di stare ancora un po’ sulla SUPERRELIGIONE? Non tanto per approfondire le tesi del prof. Ventura, quanto per seguire una strada alternativa, quella di individuare i compiti propri delle religioni e di quella cristiana in particolare, pur senza negare il bene che esse hanno fatto alla civiltà nella storia passata e potrebbero fare in futuro, come peraltro giustamente auspica Ventura.
(O) Accetto, a patto di non ingarbugliarci in discussioni complicate di filosofia e di sociologia. Non terremmo conto del momento attuale, che ha riportato alla coscienza di tante persone il senso di un destino personale non garantito da nulla di ‘moderno’ o di scientifico, svelandoci invece la precarietà delle nostre certezze materiali e insieme la necessità di consolidare quelle spirituali. Da parte mia non mi scandalizzo se un intellettuale, a prima vista nemmeno molto ‘ortodosso’, prende atto della necessità di contare sulle religioni per risolvere i gravissimi problemi dell’umanità contemporanea. Nemmeno mi scandalizzo se ne evidenzia solo tre, in particolare. Immagino che non escluda perciò il tema dell’educazione o quello della dignità del lavoro, che potremmo inquadrare complessivamente in quello della relazione, tra l’IO e il TU.
(C) Qualche giorno dopo la recensione del libro di Ventura “Nelle mani di Dio”, lo stesso autore ha recensito a sua volta su “La Lettura” la traduzione italiana di “La ricchezza delle religioni. L’economia della fede e delle chiese” di Barro e McCleary, che nel titolo fa il verso alla “Ricchezza delle nazioni” di Adam Smith e nel contenuto aggiorna e ridiscute i concetti ben noti di Max Weber.
(O) Credo sia interessante la conclusione della recensione di Ventura: è importante “lo stimolo a lavorare per una maggiore consapevolezza del rapporto tra religione ed economia e … per una maggiore responsabilità dei credenti, verso le conseguenze delle loro convinzioni e delle loro azioni. Se continua a preoccuparci la ricchezza senza fede che rattristava Wesley (il fondatore del Metodismo) e interrogava Weber, ora che Dio è tornato in un Occidente impoverito ci preoccupa forse di più una fede senza ricchezza. Sicché la domanda di Wesley se si possa essere credenti senza essere poveri e se si possa essere ricchi senza perdere la fede è non meno cruciale di due secoli e mezzo fa”.
(S) Riprende il tema del rapporto positivo tra religione ed economia, già delineato nel suo libro. Non capisco però cosa intenda per “fede senza ricchezza” e perché questa eventualità lo preoccupi.
(C) Oso un’interpretazione: fede senza incidenza sociale, o almeno relazionale. Non credo proprio intenda direttamente “senza incidenza politica”, sarebbe tornare a modelli di alleanza trono-altare decisamente superati e sicuramente sconvenienti, non solo per i cristiani, ma per ogni religione. La ricchezza di una fede (notate bene: non di una chiesa, quindi non parliamo dei beni del Vaticano o di qualsivoglia confessione) risiede nella sua capacità di rendere migliore il mondo e più felici le persone. Quindi comporta certamente un valore assolutamente immateriale, che sinteticamente possiamo identificare nella risposta di una fede al mistero dell’esistenza, cui però segue necessariamente un cambiamento anche materiale delle relazioni nella vita quotidiana, che i cristiani indicano con la parola ‘carità’ ma non si riduce ad un sentimento o a una scelta individuale, ma trasforma le relazioni sociali e politiche. Abbiamo avuto un esempio interessante quando abbiamo parlato del commento del card. Nicora alla Lettera a Tito, qualche settimana fa.
(S) Ma no, l’Autore chiede proprio se uno, tu o lui, può restare insieme ricco e credente. Papa Francesco risponderebbe, credo, di no. E non si riferirebbe solo ai beni materiali, ma al dovere di mettere a disposizione della comunità ogni genere di talento, di capacità, che ne sani le ferite, le ingiustizie, che colmi anche le semplici mancanze. Invece non capisco il pensiero dell’autore. Se ritorno all’assunto del suo libro, devo concludere che invece ritenga desiderabile, anzi fondamentale che quella che chiama una delle tre mani di Dio, la mano invisibile, (ma non quella del mercato) produca lo sviluppo dell’economia.
Quindi, la mia opinione è che nell’autore ci sia un ottimismo di fondo, in un certo senso automatico, per cui, nonostante la difficoltà costituita dall’egoismo del singolo, il complesso del divenire della storia produce un risultato positivo. Ovviamente, dato il mio carattere, non sono d’accordo. Non lo sono mai con gli ottimisti a buon mercato. Tutto il bene collettivo non basterebbe a compensare il dolore di un bambino. Non venitemi a raccontare, cari filosofi, che questo è il migliore dei mondi possibili. Intendo dire che la religione, potrei dire tutte le religioni, ma in modo particolare lo dico del cristianesimo per la mia esperienza personale, sono interessanti perché danno risposte personali e molto più profonde a domande che il prof. Ventura non sembra considerare come importanti.
(C) Mi pare che sei troppo severo con Ventura; forse lo fai perché vuoi stringermi in un dilemma: è il cambiamento del singolo che migliora la società o al contrario, solo migliorando la società si risolvono i problemi e le ragioni d’infelicità dei singoli? Devo cercare di spiegare meglio la conclusione della precedente Apologia, quando sostenevo che solo una religione della trascendenza potesse rispondere alla domanda di senso che ogni volta la realtà pone. Che Dio sia trascendente, cioè non condizionato da nulla di ciò che esiste (ciò che per intenderci chiamiamo natura o realtà), è l’unica possibilità per sfuggire a quel dilemma e ricondurre ad un destino buono tutto quello che capita, a me come singola persona o al mondo intero, senza che sia violata in nessun modo la libertà e la responsabilità di ciascuno. Se Dio non è un TU, nemmeno io sono un IO, non a pieno titolo, almeno, e nemmeno l’intera umanità è un NOI, un popolo, ma solo un oggetto, il risultato di molteplici combinazioni, qualcosa di non molto diverso da un algoritmo. Mi pare quindi di poter affermare che il chiarimento necessario per valorizzare il pensiero di Ventura e le ragioni eccellenti per sviluppare il dialogo interreligioso e quello con i non credenti, fino alla collaborazione concreta per affrontare i grandi problemi del cambiamento d’epoca, stia proprio nella riaffermazione dei valori specifici del fatto cristiano come ci è stato consegnato dalla fede degli apostoli, testimoni del Cristo Risorto. La religione diventa SUPER non cercando fattori comuni a quelle esistenti per immaginare di inventarne una migliore, ma quando ciascuna riesce a sviluppare e comunicare meglio la sua essenza. Sono proprio convinto che questa sia la direzione intrapresa dal magistero di Papa Francesco.
(S) Sebastiano Conformi (O) Onirio Desti (C) Costante
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