“Questo non è il momento di prendere i soldi dei cittadini, bisogna darli”. Così ha risposto il presidente Draghi ad un giornalista che lo intervistava. La risposta di Draghi non ha minimamente scalfito la stima che nutro verso di lui, la sua profonda competenza in materia finanziaria ed economica, il mio apprezzamento per l’opera che svolge in un momento così drammatico del Paese, ma ha messo in dubbio le sue abilità politiche. E mi spiego.
Per poter dare soldi ai cittadini occorre averli. E noi non li abbiamo. Quasi trent’anni fa, a Maastrich, l’Italia s’impegnò a ridurre il suo debito pubblico (che allora era del 120% sul PIL) al 60%. Ora, causa anche la pandemia, veleggiamo verso il 180% Le nostre spese pubbliche superano le entrate pubbliche e lo stato per colmare la differenza deve trovare qualcuno che gli presti soldi.
A causa della pandemia, l’Italia si è trovata ad affrontare un’altra difficile prova e stava per prendere piede una crisi finanziaria di portata maggiore di quella del 2011-12. Di fronte a questo rischio la BCE cambiò rotta: acquistò titoli per l’intera area dell’euro per un totale di 750 miliardi.
Quando le difficoltà, dovute alla pandemia diventarono ancora più smisurate, la Commissione Europea si fece carico di altri finanziamenti sotto forma di aiuti a fondo perduto e di prestiti a interessi quasi nulli. Mise in campo il MES per aiuti in campo sanitario, ma l’Italia non volle raccogliere tale aiuto. Creò il SURE (Support to mitigate Unemployment Risks in an Emergency) per finanziare in parte la cassa d’integrazione e l’Italia ebbe un contributo di 27,4 miliardi.
Il programma Next Generation European Union (meglio conosciuto come Recovery Plan, e non Fund, come molti s’intestardiscono a chiamare!) è un elemento innovativo rispetto al passato perché si passa dal “debito” al “trasferimento” attraverso l’accesso a fondi diretti trasferiti dall’Unione Europea, che si indebita per conto dei paesi membri e perché le risorse vengono assegnate non sotto forma di mero assistenzialismo, ma con la consapevolezza che esse devono servire per investimenti in settori strategici e non per spese correnti. A vigilare che i piani nazionali siano in linea con le indicazioni previste dal NGEU sarà la Commissione Europea.
È una vera e propria forma di solidarietà, come avevano sognato i Padri Fondatori. “Solidarietà” è un sostantivo che deriva dal latino solidum (=insieme): come le risorse sono state prese a prestito insieme, così il loro utilizzo deve essere deciso insieme e le spese e le entrate di ogni paese devono essere “armonizzate” con quelle degli altri. I nostri compagni di cordata ci chiedono così di creare quell’ambiente favorevole alla crescita economica rimuovendo i vincoli che rischiano di ostacolarla e chiedono all’Italia riforme di sistema nella giustizia, nella pubblica amministrazione, nel mercato del lavoro e nel regime fiscale.
È su quest’ultimo che mi soffermerò per illustrare il motivo per cui – a mio avviso – è stata incauta l’espressione usata dal presidente Draghi.
Come faranno le future generazioni a restituire – seppur a scadenza molto lunga e ad interessi quasi nulli – all’UE i prestiti concessici? Come faremo a ridurre il debito pubblico secondo i parametri di Maastricht che per il momento sono solo “sospesi”? Come faremo a coprire le spese correnti? Saremmo forzatamente costretti o a fare altri debiti o ad aumentare le entrate attraverso un maggior gettito fiscale.
Soprattutto quali risposte daremo – al momento della ratifica del NGEU – al cittadino tedesco che protesterà perché da noi non viene tassato il patrimonio, mentre nel suo paese si paga un’imposta progressiva che parte dal 3% e una tassa sulle successioni pari al 30%? E che cosa diremo all’affittuario francese che paga la “taxe d’habitation” pari a un mese del prezzo dell’affitto, pur pagando il proprietario una tassa sull’immobile che varia dallo 0,5 all’’1,5% sul valore catastale? E che cosa diremo al cittadino francese che paga una tassa sulla successione pari al 45%? O a quello spagnolo che paga una tassa del 34%? Soprattutto come spiegheremo ai nostri cittadini che, mentre in tutta Europa si assiste a un trend che abbassa le tasse sul lavoro, da noi questo trend aumenta (era del 10,4% nel ’95 e ora sta per superare il 12%) mentre la ricchezza di pochi aumenta sempre di più e viene detassata?
Al momento del discorso pronunciato in Parlamento per ottenere il voto di fiducia al suo governo, il presidente Draghi aveva dichiarato: “Una riforma fiscale segna in ogni Paese un passaggio decisivo, dà certezze, offre opportunità, è l’architrave della politica di bilancio. Va studiata una revisione profonda dell’IRPEF con il duplice obiettivo di semplificare e razionalizzare la struttura del prelievo, riducendo gradualmente il carico fiscale e perseverando la progressività”.
Vorrei che Draghi mantenesse queste sue parole distribuendo meglio il reddito attraverso una tassazione adeguata ai tempi e che facesse tacere una volta per sempre coloro che vaneggiano su una tassa piatta.
Vorrei che si tassasse la ricchezza ereditata o ricevuta in dono: non è una proposta fatta dai sinistrorsi, ma che ha avuto come sostenitori l’acceso liberista Luigi Einaudi (“Il povero resta povero e il ricco acquista ricchezza non per merito proprio, ma per ragioni di nascita”), il noto miliardario americano Warren Buffett, l’economista Rayhuram Rajan, i nostri Moretti e Barca. Attualmente in Italia la tassa sull’eredità comporta un gettito sul Pil dello 0,1% contro la media europea dello 0,5%. In Italia un figlio che eredita una casa dai genitori è esonerato dal pagamento della tassa di successione, se il valore dell’immobile non supera un milione di euro. Un suo coetaneo che volesse acquistare una modesta casa, viceversa, deve pagare il 2% allo stato e il 3% al notaio: se un cittadino compra casa deve pagare lo stato, se l’eredita, no: è un’ingiustizia vera e propria!
Vorrei che al compimento del 18°anno di età i giovani, escludendo i più ricchi, potessero avere una “tassa negativa”, una “eredità di cittadinanza” con cui poter finanziare i propri progetti, il loro futuro.
Sarà possibile? Non lo so. So solo che sarà difficile con un governo che volesse continuare la stagione dei privilegi, degli egoismi e dei particolarismi, che favorisse la concentrazione della ricchezza scoraggiando la crescita economica. Ma le difficoltà spesso preparano stagioni di destini straordinari.
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