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Il Mohicano

VERSO IL BARATRO

ROCCO CORDI' - 27/05/2021

voto1921La ricorrenza del centenario delle elezioni del 15 maggio 1921 è passata nel silenzio generale. Eppure qualche riflessione non guasterebbe anche perché l’esito di quel voto contribuì ad accelerare la crisi delle istituzioni liberali e, grazie alla codardia della monarchia regnante, a spianare la strada al fascismo.

Su una popolazione di 40 milioni di abitanti gli aventi diritto al voto erano circa 12 milioni (solo maschi con almeno 21 anni di età). I votanti furono 6.701.496 pari al 58,4 % degli aventi diritto.

I risultati elettorali confermarono una sostanziale tripolarizzazione del Paese con i socialisti in prima posizione (24,7% dei voti, 124 eletti), seguiti dai cattolici popolari (20,4%, 108 eletti) e dal Blocco Nazionale (19,1%, 105 eletti).

Il restante 35% dei voti si disperse in altre 12 liste. La metà di questi voti sono andati a due liste di impronta “liberale” che ottennero il 17,5% dei consensi e oltre 100 parlamentari.

Per la prima volta si presentarono i comunisti, ma il risultato conseguito – poco più di 300mila voti (4,6%) 15 eletti – era molto al disotto delle loro aspettative e in parte dovuto anche al ruolo centrale dei bordighiani sostenitori dell’astensionismo.

La lista del “blocco”, che comprendeva forze eterogenee (dai liberali ai fascisti), era stata pensata da Giovanni Giolitti (dominatore da lungo tempo della scena politica italiana) con un triplice intento: continuare ad essere il perno del panorama politico, neutralizzare i fascisti assorbendoli, ridimensionare il peso dei socialisti e dei popolari. Va ricordato che nelle elezioni di due anni prima le liste fasciste ottennero un risultato talmente irrisorio da non eleggere neppure un deputato.

Nel complesso il piano giolittiano risultò fallimentare e contribuì ad accelerare lo spostamento a destra del Paese facendo eleggere nella sua lista 35 fascisti, tra cui Benito Mussolini, e alimentando altre liste, tra cui i “nazionalisti” e i “liberali di destra”, ben presto confluiti nel fascismo.

Il risultato elettorale fotografa le trasformazioni politiche in corso (dalle democrazia liberale notabilare ai partiti di massa) e offre l’immagine di un Paese profondamente lacerato e diviso, duramente provato dalla lunga guerra del 15/18 con la morte di 700mila uomini a cui si aggiunsero tra il 18/19 altre 600mila vittime della epidemia detta “spagnola”.

Un Paese allo sbando, prigioniero dei governi del Re e con un Parlamento ridotto ad un ruolo residuale e comunque privo di una maggioranza capace di indicare una via d’uscita al trauma post-bellico.

Dopo il voto Giolitti si presentò in Parlamento con un programma zeppo di promesse e riforme, ottenne una esigua maggioranza, ma per lui insufficiente e così si dimise. I suoi successori Bonomi e Facta non seppero fare di meglio, mentre la crisi sociale e politica si aggravava sempre di più. Così si giunse nel novembre del 1922 al governo di “unione costituzionale” presieduto da Mussolini.

A votarlo fu la stessa Camera uscita dalle urne del 25 maggio 1921. Ma a distanza di un secolo ci tocca pure leggere che invece quel risultato fu causato dalla scissione di Livorno. È sempre colpa dei comunisti, si diceva fino a qualche decennio fa.

Il voto a Varese e dintorni.

Per avere un’idea del clima in cui si svolsero quelle elezioni anche a livello locale basterebbe rileggersi le note curate da Roberta Lucato nella rubrica “Cento anni fa…” pubblicata periodicamente dal quotidiano La Prealpina. Le cronache raccontano di aggressioni, scontri e devastazioni provocate qui come altrove dai fascisti, ma giudicate dal giornale con occhio un po’ troppo equidistante (antesignani della tesi degli “opposti estremismi”?). Eppure all’inizio della campagna elettorale era toccato proprio al suo direttore, Giovanni Bagaini, subire l’occupazione da parte dei fascisti. Bagaini era stato candidato nella lista del “Blocco” però non era gradito agli “alleati” che da bravi squadristi si sono impadroniti della redazione per qualche giorno. Un gesto da loro giustificato come “atto di sincera e schietta violenza” per denunciare “il subdolo tentativo di valersi delle forze dei fascisti e dei simpatizzanti per continuare a sostenere le candidature di uomini rappresentanti vecchie idee e correnti ormai tramontate”. Se questo facevano agli alleati figurarsi agli avversari. Infatti anche qui non mancarono le devastazioni di sedi socialiste e circoli operai, con pestaggi e pistolettate contro gli avversari. Ma era solo l’inizio della tragedia.

Nei circondari di Varese, di Gallarate e di Luino (allora tutti facenti parte della provincia di Como) i risultati elettorali di quel 25 maggio furono particolarmente esaltanti per i socialisti (rispettivamente 48,2% – 57,3% – 48,8%) a conferma che nelle aree ad alta concentrazione operaia la “predicazione” socialista era giunta in profondità. Nei comuni compresi nei tre circondari, il PSI conquista la metà dei voti espressi (50,3%) quasi il doppio in confronto al Blocco Nazionale 23,3% e dei Popolari (21,2%). Va considerato che i “Popolari”, partito dei cattolici, era nato da poco (gennaio del 2019).

Nella città di Varese vota il 61% degli aventi diritti. Anche qui i socialisti sono primo partito con il 45,3% dei voti, distanziando notevolmente sia il “Blocco” (28,3%) che i “Popolari” (19,8%); i comunisti, anch’essi nati da qualche mese, gennaio 1921, ottengono il 6,5%.

Il voto dei circondari varesini è più a sinistra del voto espresso nell’intero Collegio di Como-Sondrio. Qui i socialisti sono sempre primo partito, ma con il 35,9% dei voti. Segue il Blocco con il 25% mentre i Popolari raggiungono il punto più alto conquistando il 35,2%. I comunisti dovranno invece accontentarsi di un piccolo 3,9%. Gli 11 parlamentari eletti nel Collegio vengono ripartiti tra socialisti (4) popolari (4) e Blocco Nazionale (3).

Nonostante questi risultati un anno e mezzo dopo il fascismo da assolutamente minoritario assumerà una posizione dominante grazie al cedimento di quanti pensavano di poterlo “normalizzare”. Cominciò così la corsa verso il baratro. E oggi che la politica oltre alla credibilità sembra aver perso persino la memoria non sarebbe male riflettere sugli eventi di un secolo fa. Se la profonda crisi economica e sociale di allora generò il fascismo, anche quella odierna può mettere in pericolo la democrazia se non si interviene in tempo per impedirlo.

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