Alcuni ritenevano che il regno di Dio dovesse manifestarsi entro poco tempo, addirittura in concomitanza con l’arrivo di Gesù a Gerusalemme. Per togliere una tale tensione nei suoi discepoli Gesù racconta questa parabola. Il nobile personaggio protagonista del racconto rappresenta Gesù che sta per recarsi in un paese lontano (sale al cielo). Di là egli ritornerà con potenza e onore di re. Per il tempo della sua assenza egli affida i suoi beni ai suoi servi, perché li facciano fruttare. Il tempo che intercorre tra l’ascensione di Gesù al cielo e il suo ritorno nella gloria è tempo di lavoro e imprese missionarie.
Al suo ritorno Gesù domanderà conto dell’amministrazione affidata ai suoi servi, i quali devono superare tre ordini di difficoltà. Anzitutto la scarsa visione della storia, la superficialità di giudizio o l’improvvisazione delle soluzioni, e poi il fatto di cercare soluzioni immediate già pronte, invece di produrle da sé stessi.
Altra difficoltà presente in noi è la paura, l’ignavia, l’assideramento spirituale, cioè quella grave immaturità psicologica che ci sottrae all’azione, lasciando la nostra vita inutilizzata. E ancora esiste (e quanto!) la difesa aspra e ribelle della propria malintesa autonomia, dovuta all’ignoranza di Dio e della vera consistenza della libertà umana.
Le amare osservazioni che il servo malvagio e fannullone fa contro il suo padrone sono la manifestazione della sua cattiva coscienza. Il Signore viene accusato di essere un padrone crudele, un trafficante ingordo, un egoista senza riguardo per nessuno. Secondo queste parole sarebbe proprio il Signore a togliere ogni coraggio e a mettere addosso al servo un terrore paralizzante.
Il Signore domanda fedeltà nell’amministrazione, attività coraggiosa, lavoro oculato. Per questo non è concepibile un’attesa inoperosa e piena di paura. Il capitale che ci ha dato non serve per arricchire davanti agli uomini, ma davanti a Dio; farlo fruttare non significa accumulare con avidità, ma dare con generosità. Il vero guadagno che ci arricchisce davanti a Dio consiste nel donare. È l’unico modo di investire: ci dà il nostro vero tesoro e ci procura amici che ci accolgano nelle dimore eterne.
La salvezza è un premio e, come tale, è insieme dono e conquista, incontro tra la benevolenza di Dio e la libertà dell’uomo. Il premio è sproporzionato al merito, come una città rispetto a una ‘mina’ (una ‘mina’ greca d’argento corrispondeva allo stipendio di 300 giornate lavorative). Dio ci dona ben più di quanto osiamo domandare o sperare, noi dobbiamo solo impiegare tutta la nostra bravura ed energia!
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