Il mondo dello sport, come tanti altri settori, si è dato delle regole per non interrompere o riprendere le diverse attività nel periodo della pandemia.
Molti di voi avranno sentito parlare di interventi nel mondo professionistico (la bolla della Nba, l’organizzatrice del campionato americano di basket, che ha trasferito tutto a Disneyland garantendo il proseguimento e la chiusura del torneo ne è un esempio) mirati soprattutto, ed ovviamente, a tenere in piedi un business importante.
Anche calcio, tennis e golf per citare altri esempi, hanno agito con l’obbiettivo di garantire la salute degli atleti e del personale, ma anche di poter continuare a svolgere un’attività remunerativa per molti.
Lo sport però non è solo professionismo, ma anzi la stragrande maggioranza delle persone che praticano attività motorie non lo fa come professione ma come divertimento per piacere, salute, socialità etc.
La graduale e progressiva ripresa delle attività è stata quindi resa possibile grazie ad una serie di interventi tecnico/legislativi che hanno indicato la strada da seguire in modo comune per abbattere i rischi e riprendere a muoversi.
Fermo restando la declinazione di tutte le regole già messe in atto nella quotidianità (mascherina, distanziamento sociale, pulizia di mani e superfici di contatto) sono state aggiunte indicazioni da seguire per la ripresa anche dei soggetti che siano stati colpiti da covid 19.
Senza scendere nei particolari, peraltro abbastanza specialistici, è stato reso obbligatorio per tutti coloro che sono stati contagiati dal virus ed abbiano l’obbligo di una certificazione all’attività sportiva (professionistica o semplicemente agonistica), di sottostare ad esami integrativi per essere riammessi.
Definito come return to play (tornare a giocare) il certificato prevede che l’atleta venga rivisto dal medico che ha rilasciato l’idoneità ancora in essere ed in base alla gravità della malattia causata dal virus, alla distanza della avvenuta negativizzazione del tampone ed al tipo di sport, venga sottoposto ad una serie di accertamenti più o meno approfonditi decisi dal sanitario.
Semplice quindi capire che il giocatore professionista che deve rientrare in attività possa avere un percorso più celere in quanto accetta e può (economicamente) sostenere una serie di indagini costose ed approfondite, mentre l’atleta semplicemente agonista rispetta tempi più lunghi di stop ed è riammesso con ulteriori accertamenti relativamente semplici e meno invasivi.
Tra gli esami richiesti ai professionisti infatti vi sono anche accertamenti ematochimici (quindi prelievi di liquidi biologici) e valutazioni cardio/polmonari approfondite mentre per l’agonista molto spesso una prova da sforzo ed un eco/cuore sono considerati sufficienti.
È stato anche pubblicato di recente (7 maggio 2021) da parte della Presidenza del Consiglio dei Ministri (dipartimento per lo sport) un documento dal titolo Linee guida per l’attività sportiva di base e l’attività motoria in genere.
Questo documento è il naturale sviluppo delle linee guida emanate nel periodo di emergenza e fornisce indicazioni specifiche volte ad assicurare la prosecuzione (o riavvio) delle attività sportive e dell’esercizio fisico per tutti i soggetti che gestiscono o frequentano a qualsiasi titolo luoghi sportivi (denominati siti).
Questo documento quindi è probabilmente quello che maggiormente interessa i gestori di palestre, piscine, centri di attività motoria ed i loro utenti.
È stato redatto dal Dipartimento dello Sport ma tiene conto dei criteri delle linee guida precedenti, di quelli definiti dal CTS e del parere della Federazione Medico Sportiva Italiana.
A questo documento dovrebbero attenersi quindi non solo tutti i gestori dei luoghi di sport ma anche quelli di palestre della salute dove, soggetti stabilizzati post riabilitazione, svolgono ad esempio attività fisica adattata.
Il documento è ben fatto anche perché è obbiettivamente molto complicato riuscire ad essere chiari e concisi nel dettagliare dei percorsi che coinvolgono luoghi, ambienti ed attività ben diversi l’uno dall’altro oltre a personale ed utenti.
Attenzione è posta alle dotazioni minime necessarie, alla riorganizzazione dell’attività, delle mansioni, al tracciamento dell’accesso alle strutture (in base al numero degli utenti), al contingentamento del numero degli utenti, al sistema di sanificazione dei locali e la pulizia degli stessi eccetera).
Verrebbe voglia di dire che alla base di tutto quello che c’è scritto in realtà c’è il semplice buon senso ma ovviamente il legislatore non può accontentarsi di questo e deve esprimerlo in linee guida anche perché la mancata osservanza delle stesse fa scattare interventi e sanzioni da parte degli organi preposti.
Cerchiamo di sintetizzare al massimo per chi non abbia voglia od interesse di leggere il documento interno (23 pagine schede esemplificative comprese).
Attenzione alla gestione del rischio del contagio vale a dire distanziamento, mascherina, igiene personale, utilizzo di materiale proprio, arrivare già vestiti in modo idoneo ma anche analisi delle attività con valutazione dei transiti, soste brevi o prolungate, potenziali assembramenti.
A seguire informazione all’operatore sportivo del proprio stato di salute, possedere il certificato per l’attività consono alle norme vigenti, adottare tutte le misure cautelative specifiche per il luogo di attività, conoscere percorsi di ingresso ed uscita e fare attenzione alla segnaletica scritta etc etc
Per i gestori invece punto fermo è la redazione del Documento di valutazione dei rischi (ove previsto) o attenersi ai Protocolli di sicurezza emanati dall’Ente di affiliazione.
Sono previsti, al di là dei controlli di legge da parte delle forze di Polizia, interventi ed azioni di monitoraggio promosse dal Dipartimento circa il rispetto delle misure contenute nel decreto coinvolgendo CONI, CIP ed associazioni di categoria.
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