Guido Bertolaso e Gabriele Albertini hanno declinato l’invito, reiterato più volte, a candidarsi per la tornata elettorale dell’autunno prossimo, rispettivamente a sindaco di Roma e di Milano, nelle file del cen stilettatero – destra. Ufficialmente, non hanno accettato per questioni di famiglia, per ragioni d’età. Entrambi hanno dichiarato che, superata una certa soglia, non si sentono più all’altezza di affrontare impegni di questa portata. Si tratta di due persone di settant’anni – dei coetanei – che hanno avuto ruoli importanti e dimostrato capacità ragguardevoli nel risolvere i problemi. Bertolaso l’ho conosciuto a Roma come capo della protezione civile. E anzi, nel 2009, tra lui e me c’è stato un avvicendamento per un intervento d’emergenza sull’area archeologica centrale della Capitale, quella che comprende l’Anfiteatro Flavio, la Domus Aurea, il Foro Romano-Palatino, le Terme di Caracalla e molto altro ancora (un impegno finanziario di circa 30 milioni di Euro). Era stata devastata da dei fortunali di rara violenza e dall’incuria di decenni e quindi bisognava provvedere a riparare i danni e a fare un piano di manutenzione-fruizione per tutta quanta l’area. Per questo, fu nominato commissario straordinario. Ma durò pochi mesi perché ci fu il terremoto de L’Aquila e quindi dovette spostarsi immediatamente sul quel fronte, mentre fui chiamato io, dalla presidenza del consiglio dei ministri, a sostituirlo. Un lavoro di spettacolare importanza a cui è seguita la sponsorizzazione del restauro del Colosseo per 25 milioni di euro.
Albertini non l’ho conosciuto, ma il nostro direttore Massimo Lodi la settimana scorsa ne ha fatto un brevissimo ritratto, piuttosto efficace, che dà le dimensioni delle qualità della persona. Della sua capacità d’interpretare la realtà nel migliore dei modi, lasciando perdere le questioni di parte per il bene comune della città e del Paese. Dunque, in entrambi i casi si è trattato di rinunce meditate, responsabili, quasi incredibili in un mondo come quello che stiamo vivendo dove, per uno strapuntino, si fa la guerra dei cent’anni. Quindi onore al merito per sensibilità e nobiltà d’animo dimostrate. Anche se va detto, però, che su queste scelte deve aver pesato non poco il clima politico in cui ci troviamo. Per fare il sindaco, soprattutto di una grande città, il rapporto con il Governo è fondamentale. Bisogna poter interloquire continuamente e avere delle risposte precise soprattutto adesso, dopo la pandemia, quando si dovrà rimettere in moto la macchina e bisognerà capire bene dove e come reperire le risorse necessarie e che non saranno solo le nostre, ma verranno soprattutto dall’Europa. Per addentrarsi in questa selva oscura ci vuole stabilità. Bisogna avere certezza sugli interlocutori e sulle loro intenzioni almeno a livello nazionale.
Mentre invece stiamo vivendo una situazione costante d’instabilità istituzionale, procurata ad arte. Non è bastata la pandemia col suo procedere a ondate a destabilizzarci, per cui ad agosto scorso sembrava che fosse quasi passato tutto, mentre pochi mesi dopo siamo ripiombati in una situazione peggiore della precedente. Non è bastato. Adesso, si è fatto un governo di (quasi) unità nazionale con un solo obbiettivo. Superare la pandemia sul piano sanitario e su quello finanziario, attingendo ai fondi europei, per un ammontare di dimensioni neanche immaginabili solo un anno fa (209 miliardi di Euro). Ma per ottenere quelle risorse bisogna, giustamente, realizzare le riforme che non abbiamo mai fatto, ma non per il solo gusto di farle. Il fatto è che senza di esse le risorse non verranno mai spese o saranno spese male (come la storia insegna) e comunque sia, senza quelle riforme i fondi europei non arriveranno neanche. Ci è stato detto a chiare lettere, senza sfumature o circonlocuzioni. A fronte di ogni tranche di stanziamento della Comunità, entro tre mesi, o giù di lì, verranno fatti dei controlli e delle verifiche, per capire se si sta seguendo la scaletta che ci siamo proposti di seguire. L’esito di quei controlli e di quelle verifiche è alla base di ulteriori stanziamenti oppure vedrà la loro cancellazione.
Qualche giorno fa invece, il segretario con la felpa, ha avuto la bell’idea di farci sapere che questo governo le riforme non le deve fare, le riforme non devono entrare nell’agenda Draghi. Le dovrà fare qualcun altro. Ora ci si chiede, ma questo signore dov’era qualche giorno fa quando si discuteva di fondi europei? Sedeva in parlamento oppure passava di lì per caso? Ha capito o no come stanno le cose? Si è reso conto o no che con quella boutade ha dato un calcio a Draghi, all’Europa e ai fondi (e al sistema produttivo)? E quindi, con quello sproloquiare vano nel vano tentativo di recuperare consensi, rischia di mettere il Paese in una condizione di instabilità totale, dalla quale non ci riprenderemo mai? Ha capito o no che qualunque angolo del Paese, qualsiasi amministrazione (e qualsiasi impresa), grande o piccola che sia, non sarà più in grado di capire che cosa poter fare l’oggi per il domani?
Han fatto bene Albertini e Bertolaso a declinare l’invito. L’età non c’entra. C’entrano i modi con cui la politica si propone e quelli a cui si è appena accennato non sono tali da metter tranquillo nessuno. Non c’è da aver fiducia. Soprattutto per chi in passato, quantomeno nei modi, ha potuto far riferimento a tutt’altro stile.
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