«Comunque i giovani della mia età non muoiono di Covid. Neanche mio padre che ha 50 anni muore di Covid. No, dai, muoiono solo le persone anziane. Quello che penso io, arrivati a questo punto… Anche i miei nonni: tengo molto ai miei nonni, ma se devono morire, morissero, cioè». Cioè. La povertà espressiva come segno di povertà morale. È la prima cosa che ho pensato di fronte a questa frase pronunciata da una ragazza ventenne alla trasmissione di Rete 4 Dritto e rovescio.
Mi ero riproposta di non parlare più di nulla che avesse a che fare con la pandemia in corso e di cercare solo argomenti rasserenanti, ma ogni volta che ne trovavo uno, qualcosa dentro mi diceva “sì, però…” Siamo cambiati? In peggio, forse. Oppure siamo rimasti quelli di sempre, con meno freni inibitori. Quella ragazza è solo una che ha avuto il coraggio di dire ciò che molti pensano: che i vecchi muoiano è nella natura delle cose. Noi giovani abbiamo il diritto di vivere. Però è veramente triste e squallido che vivere, per loro, significhi agitarsi, urlare, bere, sballarsi.
Una considerazione sull’indifferenza con cui la Natura si difende dalla sovrappopolazione del pianeta l’abbiamo fatta tutti: non ci sono più le pestilenze che nei secoli passati falcidiavano l’umanità, le guerre sono chirurgiche, la mortalità infantile è relegata in alcune zone della Terra, sette miliardi di persone sono troppi; una nuova pandemia può ripristinare il naturale equilibrio tra le specie viventi. Abbiamo ripensato al leopardiano Dialogo della Natura e di un Islandese: “Immaginavi tu forse che il mondo fosse fatto per causa vostra? Ora sappi che nelle fatture, negli ordini e nelle operazioni mie (…) sempre ebbi ed ho l’intenzione a tutt’altro che alla felicità degli uomini o all’infelicità. (…) E finalmente, se anche mi avvenisse di estinguere tutta la vostra specie, io non me ne avvedrei”. Ma un conto è riflettere su ciò che non dipende dalla nostra volontà, un altro dare una mano perché accada.
Come sempre, quando vedo atteggiamenti giovanili come questo, che per me sono inconcepibili, mi chiedo come sia potuto capitare, in che cosa abbiamo sbagliato – la mia generazione e quella successiva – in quale fase del processo educativo abbiamo dimenticato o trascurato di comunicare il senso di umanità. Poi, però, mi consolo – o almeno cerco di farlo – pensando a tutti quei giovani che lavorano per il bene comune senza fare notizia e senza fare rumore. Ad esempio, per non andare lontano, penso ai ragazzi volontari del gruppo “Ghe sem!”. Li trovi, in maglietta rosa, al centro vaccinale della Schiranna, che ti danno indicazioni su dove posteggiare e come muoverti. Sono lì con ogni tempo atmosferico, anche sabato e domenica. Probabilmente posteggeresti lo stesso, e troveresti da solo anche l’uscita, ma vuoi mettere farlo con persone che ti sorridono?
Ecco: credo che la pandemia non ci abbia cambiato affatto, ha solo fatto emergere la parte più autentica di noi. Se vogliamo che ci lasci qualcosa di positivo, non dobbiamo fare altro che riflettere su noi stessi e trarre le conseguenze. Ci riuscirà la “ragazza cioè”?
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