Non me ne vorranno i lettori se ritorno, come promesso, a esprimere un ulteriore pensiero in merito all’articolo apparso su RMFonline a firma di Sergio Redaelli.
Se nel precedente articolo ho tentato di riflettere sui modi con cui combattere la prima causa della scristianizzazione – “il danaro” – vorrei azzardare oggi di esaminare i motivi della seconda causa citata da Redaelli – “l’allontanamento dal Dio del Vangelo” – e di esporre alcuni possibili rimedi, nello spirito della “sinodalità” che deve guidare il cammino della Chiesa, che è in Varese.
È indubbio che il secolarismo ha invaso la Chiesa: la pratica religiosa è diminuita (non si conoscono i dati rilevati all’indagine sulla frequenza alla messa domenicale condotta alcuni anni fa nella nostra diocesi!), non si arresta la tendenza all’invecchiamento dei praticanti, si assiste al crollo verticale dei matrimoni sia religiosi che civili, le vocazioni sacerdotali e religiose sono in diminuzione: si ha l’impressione che la pastorale sia troppo impegnata nella gestione quotidiana e poco incline a pensare e a rinnovarsi.
Non c’è lo spazio per soffermarci su alcuni temi che riguardano il ruolo morale quasi estraneo dell’influsso della Chiesa nella politica, sulla morale che pecca di relativismo, sull’ininfluenza dei movimenti e sulle forme di religiosità popolare che si manifestano nelle forme devozionali verso alcuni santi o all’influenza delle apparizioni mariane.
Desideriamo esporre nostre considerazioni sull’ “allontanamento dal Dio del Vangelo”, interrogarci sul presente per avvicinarci sempre più a Lui, su cui anche molti non praticanti si interrogano e di cui sentono un profondo desiderio.
Da quale Dio si è allontanata la gente d’oggi? Da quello miracolistico, onnipotente, giudice severo? Ma non è questo il Dio del Vangelo. La nostra fede esige che si accolga Dio rivelato nella carne di Gesù di Nazareth, Dio come il Padre, che ha rivelato e raccontato a noi con la sua stessa vita umana, le sue parole, le sue azioni, i suoi sentimenti. Gesù è il testimone del Padre, come il Padre è testimone di Gesù. Gesù è il volto di Dio che ad Abramo, a Isacco, a Giacobbe, a Mosè non si fa vedere: parla! Solo nella pienezza dei tempi, Dio s’incarna in Gesù. Ed è questo Dio che si rivela agli uomini d’oggi nella liturgia, espressione di fede e di convivialità tra i credenti, nella sua Parola, nella comunità che accoglie, che è gioiosa.
Il primo modo per avvicinare i non credenti e per ravvivare la fede nei credenti è la partecipazione all’Eucarestia che si vive e si celebra nelle nostre chiese. Colgo in certe celebrazioni domenicali una stanchezza, una partecipazione formalistica, o, al contrario, assisto a una liturgia spettacolare, fenomeno di attrazione più che invito al raccoglimento, rito intercalato da introduzioni, spiegazioni, commenti, didascalie che producono solo un vuoto verbalismo, mentre un gesto talvolta è più significativo della parola. Spesso assistiamo a forme di esaltazione dei sentimenti, degli affetti, delle emozioni ai quali i giovani sono di loro natura particolarmente sensibili. Vorrei una Eucarestia semplice, ma non sciatta, bella non per i decori, ma per i silenzi interiori, che si alternano alle preghiere e ai canti, calma e sobria nei gesti non formali, espressione della fraternità in nome della quale siamo stati convocati ad ascoltare la Parola, a metterla in pratica nelle occasioni di vita, e a ricevere da qualcuno il pane eucaristico che è posto nelle nostre mani per invitarci ad essere “chiesa- comunione”.
Vorrei un’Eucarestia non staccata dalla vita perché se sottraiamo alla liturgia ciò che è più umanamente umano, finiamo per compromettere anche ciò che ha di più evangelicamente divino. Vorrei una Eucarestia in cui entra il mondo intero, espressione di una Chiesa tesa non a conservare la memoria, ma attenta a ciò che accade intorno ad essa: è questo il debito che abbiamo verso i non credenti! Perché le preghiere dei fedeli devono essere preconfezionate e non nascere spontaneamente dall’assemblea? Pregare per chi è disoccupato, per chi soffre negli ospedali o nelle carceri, per due coniugi che stanno per separarsi, per il migrante che è arrivato da noi non è forse compito di una vera comunità?
Ci sono troppe messe. Nel decanato di Varese, tra prefestive e festive, sono centosedici. Nella città, tra prefestive e festive, sono ottantotto. Perché non diminuire il numero delle messe e chiamare il popolo di Dio a celebrare un’Eucarestia più coerente al Mistero che viene celebrato e rivelato, che sia luogo dell’origine dell’etica cristiana, un’assemblea di uomini e donne segnata dalla convivenza nella città o nel medesimo quartiere, un rito che convive con la vita? Credo che l’Eucarestia svolga un ruolo precipuo per presentare Gesù, volto di Dio, e per evangelizzare chi vi partecipa o vi assiste.
C’è un secondo momento per avvicinare Dio all’uomo d’oggi: rimettere al giusto posto la Parola ascoltata nell’Eucarestia, che diventa fonte di preghiera e di impegno; approfondire la Parola durante i vari corsi biblici, la scuola della Parola, la lectio divina cercando, però, di coordinare meglio le varie iniziative perché non si sovrappongono e perché a questi momenti, condotti da persone molto preparate, siano aggreganti di tutti i cristiani e di tutte le varie associazioni e movimenti. Per i non credenti è auspicabile organizzare incontri, in collaborazione con le altre fedi, su tematiche che riguardano il mondo (la vita, la morte, il dolore, l’ingiustizia, l’ecologia integrale…) a cui la Chiesa non può sentirsi estranea. Nelle scuole, poi, l’ora di religione più che evangelizzare o catechizzare deve dare a tutti una cultura religiosa capace di dare risposte al bisogno di sacro dei nostri giovani in modo tale che possano leggere il “tesoro Italia” nell’arte, nella letteratura, nella storia.
Durante la pandemia si sono moltiplicati a dismisurare gli incontri webinar (io ne ho contati diciotto!) sulla riflessione della Parola di Dio e la preghiera in casa. Perché non ridurli, aggregarli e “specializzarli” per le varie categorie? Al mattino, per gli anziani; nel tardo pomeriggio per i giovani e alla sera per le famiglie, così come magistralmente ci ha insegnato il nostro Arcivescovo durante l’Avvento e la Quaresima?
Infine, l’impegno dei cristiani “assidui nello spezzare il Pane e nell’ascolto della Parola” si rivolgerà “agli uomini e alle donne delle periferie esistenziali” (papa Francesco) attraverso la carità. Tutti conoscono il bene compiuto soprattutto in questo momento dalla Caritas, dalle varie mense, dalle molte associazioni caritative. Ascoltare il grido dei poveri è la stella polare della testimonianza cristiana. Distribuire il cibo, pagare l’affitto e le bollette non avrebbe alcun senso se le nostre comunità cristiane – unite, coese – non costruissero legami di fratellanza tra di loro e non esprimessero prossimità attorno alla cura delle persone deboli e scartate dalla società. Anche la persona che non avesse tanti mezzi può sempre fare la carità di chi dà se stesso, la propria presenza, il proprio tempo.
Da questo molti riconosceranno il Dio da cui si sono allontanati.
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