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Il Covid-19 ha messo le Regioni al centro dell’attenzione critica più di quanto non fosse mai successo. È possibile che tutto questo porti a dei cambiamenti anche in Lombardia sia per i servizi della salute sia sul piano politico-elettorale.
Sul primo punto ormai tutti recitano che bisognerà rafforzare molto la sanità pubblica sul territorio. È però più facile dirsi che farsi perché la destra al governo dovrà rimangiarsi molte scelte fatte in questi anni, compresa l’ultima pseudo riforma Maroni.
Sul piano politico-elettorale, ed è su questo che vorrei brevemente concentrarmi, i possibili cambiamenti non sono certo più facili. La Lombardia è amministrata da tre decenni dal centrodestra: dalla Forza Italia di Formigoni con l’aiuto della Lega per più di quindici anni, e dalla Lega con l’aiuto di Forza Italia nell’ultimo periodo, con un ruolo finora secondario del partito della Meloni.
Un’alternanza sarebbe davvero necessaria, ma sarà dura ottenerla e una premessa storica è doverosa. La Lombardia era stata guidata dall’inizio, cioè dal 1970 fino al 1992, dalla Dc con i suoi alleati, in primis i socialisti, e poi i repubblicani, i socialdemocratici e i liberali.
Spazzata via con Mani Pulite quella classe dirigente è subentrato il blocco di centrodestra mentre il centrosinistra, formato inizialmente soprattutto dai successori della Dc e del Pci, non ha più toccato palla se non per i risvolti istituzionali.
Eppure nelle città questo nuovo centrosinistra ha fatto e fa bene: ancora oggi amministra la grande Milano e poi Brescia, Bergamo, Varese, Mantova Lecco e Cremona per citare solo i capoluoghi. Perché vince nelle città e perde in Regione?
Un’analisi suggerisce che questo centrosinistra ha troppo trascurato la trasformazione industriale della Lombardia che ha reso imprenditori tanti lavoratori dipendenti. Inoltre si sarebbe appoggiato troppo sui sindacati molto presenti nel pubblico e nelle aziende medio grandi ma pochissimo o niente nelle piccole e piccolissime imprese soprattutto agricole.
In tutto questo c’è del vero. Ma vorrei sottolineare un altro aspetto, cioè la debolezza strutturale del centrosinistra in Lombardia dagli anni Novanta in poi. Prima di tangentopoli la classe dirigente identificata dai lombardi era Dc: Bassetti, Golfari, Guzzetti e altri democristiani con alcuni socialisti e laici.
Dopo tangentopoli sono emersi Berlusconi e Bossi, in seguito Salvini: leader nazionali con radici lombarde. Vedere Salvini che due mesi fa si era installato per una settimana nel Palazzo della Regione per decidere come uscire da una crisi palese è sconsolante ma è la realtà.
Nel centrosinistra dei tre decenni trascorsi il vuoto o quasi. Si ha come l’impressione che si vada in Regione per poi fuggire a Roma nella speranza (in realtà un’illusione salvo rarissime eccezioni) di contare di più. C’è invece bisogno di un gruppo dirigente regionale orgoglioso di essere lombardo, di rappresentare la nostra società e quindi l’economia, il lavoro, la cultura, il terzo settore.
Una classe dirigente stabile ben radicata in Lombardia e promotrice di una politica capace di riconquistare la fiducia dei ceti più in difficoltà nel frattempo attirati dalla demagogia leghista, capace di ricostruire un rapporto con i corpi sociali intermedi, di aggiornare politica e strumenti d’intervento.
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