Fedez censurato? La Rai targata Lega e M5S nega, ma non sarebbe una novità. All’inizio toccò alla premiata ditta Dario Fo & Franca Rame provare il gusto amaro della mordacchia. Era il 1962 e la coppia, ingaggiata per condurre Canzonissima all’epoca della direzione Bernabei, fu liquidata alla vigilia dell’ottava puntata perché uno sketch sulla sicurezza nei cantieri non andava a genio alla DC. Fo e Rame furono allontanati. Ma si salvò la sigla che prendeva in giro il metodo, tutto italiano, di far dimenticare i problemi dando alla gente qualcosa da cantare o un pallone da giocare. “Su cantiam, su cantiam, evitiamo di pensar e per non polemizzar mettiamoci a ballar…” scherzava, ma non troppo, il futuro Premio Nobel.
I burocrati televisivi non ne colsero il dirompente significato. Anche allora si scatenarono i dibattiti pro e contro sulla stampa. Quasi come oggi. Il tema degli infortuni sul lavoro, allora evocato, sarebbe stato di grande attualità anche quest’anno, alla festa del 1° maggio, con i due morti al giorno che l’Italia registra nei primi tre mesi del 2021 (fonte Il Sole 24 Ore). Ma Federico Lucia in arte Fedez non è Dario Fo e ha parlato d’altro. Ha fatto riferimento al disegno di legge Zan che estende il reato di propaganda e istigazione a delinquere per motivi di razza, etnia e religione, già previste dalla legge Mancino, a quelli basati sull’orientamento sessuale, l’identità di genere e le disabilità.
Un ddl ostacolato dalle destre. Il rapper ha elencato le dichiarazioni omofobe di alcuni esponenti della Lega e ha denunciato un tentativo di censura da parte della Rai, prontamente smentito dai piani alti di viale Mazzini. La questione è esplosa come una bomba. Ha senso che la tv di Stato lottizzata dai partiti sia insofferente alle critiche politiche? Il premier Draghi tace, la drastica riforma della Rai, invocata da anni, non sembra un tema che lo appassioni, almeno per ora. Anche se Il Messaggero gli ha attribuito la frase “l’amministratore delegato della Rai lo scelgo io” e la riforma Renzi del 2015, che ha trasferito dal Parlamento all’esecutivo il potere di nominare il presidente e l’ad della Rai, lo consentirebbe.
Come sempre l’Italia si è spaccata in due, guelfi e ghibellini, rossi e neri, destra e sinistra, in questo caso pro e contro Fedez, pro e contro la Rai. Il Pd e il “nuovo” M5s si schierano con il musicista. Un artista sul palco deve poter dire ciò che vuole e gli va garantito il diritto di farlo. La libertà d’espressione è tutelata dall’articolo 21 della Costituzione – osservano – e la Rai, servizio pubblico, deve dare il buon esempio. Per Enrico Letta “Fedez ha rotto un tabù”, per l’ex premier Giuseppe Conte “è arrivato il momento di riformare la Rai”. Il rapper incassa il plauso anche di Angelo Guglielmi, direttore controcorrente di Rai3 dal 1987 al 1994: “Fedez ha fatto bene ed è niente rispetto a quello che combinavamo noi”.
Il marito della Ferragni si becca invece le critiche di un volto rassicurante e istituzionale della Rai per mezzo secolo, il Pippo nazional-popolare: “Se avessi condotto io il concertone del primo maggio avrei spento le telecamere durante il suo discorso. Ha esagerato, ma querelarlo è solo fargli il doppio della pubblicità”. E Marcello Foa, il presidente Rai scelto dalla Lega e dal Movimento Cinque Stelle durante il primo governo Conte (che con un tweet – ricorderete – attaccò il presidente della Repubblica Sergio Mattarella), osserva cauto che “la libertà di espressione e la responsabilità che si richiede al servizio pubblico devono essere conciliabili”.
La censura è sempre sbagliata, ma in Rai è sempre esistita. Chi non ricorda “l’editto bulgaro” del premier Berlusconi contro Daniele Luttazzi, Enzo Biagi e Michele Santoro ai tempi della presidenza Zaccaria? E il difficile debutto dell’attuale amministrazione Salini con le critiche piovute dalla direzione di Rai1 a Claudio Baglioni che si permise di dire la sua sul caso Diciotti al festival di Sanremo? E le censure interne mosse a Fabio Fazio per aver intervistato il premier francese Macron? L’azienda è terra di conquista e chi vince le elezioni comanda. Roberto Fico, presidente della Camera, autore di una proposta di legge di riforma sulla governance Rai, fa autocritica.
“La cultura della lottizzazione deve essere superata sia dentro la Rai che fuori – dice a La Repubblica – Le nomine dei direttori dei tg o dei direttori di rete derivano da accordi tra i partiti di maggioranza che sono al governo. È successo anche con noi 5 Stelle e nessun partito fino ad oggi si è sottratto a questa logica. Prendiamo a pretesto le discussioni sul caso Fedez per promettere ai cittadini, che sono i veri editori della Rai perché il canone serve a questo, di fare delle nomine assolutamente fuori da ogni logica di partito. Mettiamo al centro la competenze e la indipendenza e facciamo finalmente la riforma”.
Con quali criteri? “I modelli sono tanti – spiega il presidente della Camera – Io ho proposto un avviso pubblico di gara che parte dall’Agcom, l’autorità per le garanzie nelle comunicazioni, con la riforma delle nomine. Ci sono requisiti in positivo e in negativo per chi può candidarsi nel cda. E c’è il sorteggio, con il successivo controllo parlamentare. In più vengono fissati criteri a garanzia di indipendenza e di imparzialità. L’obiettivo deve essere l’autonomia dei vertici perché la Rai possa fare il suo percorso nel rispetto dei cittadini con il controllo del Parlamento. Serve la volontà politica di cambiare strada dal punto di vista legislativo e culturale”.
Un’altra proposta di legge giace da anni in Parlamento e indica la strada di una Fondazione esterna, rappresentativa della società italiana, che nomini i vertici dell’azienda. Intanto le cifre confermano la crisi finanziaria e di ascolti della principale industria culturale del Paese. Incapace di rinnovarsi, di ridurre i costi di funzionamento e di produrre programmi innovativi. Il problema insomma non è Fedez, ma l’arretratezza tecnologica di una Rai “giurassica”. Adele Sarno annota sull’Huff Post che il sito della Rai è vecchio, la piattaforma Rai Play non sta al passo con la concorrenza, il servizio On-Demand è lento, difficile da installare e non sfrutta il potenziale di film, programmi e documentari in archivio.
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