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Economia

ESERCIZI ACROBATICI

FEDERICO VISCONTI - 14/05/2021

circoA più di un anno dal primo lockdown, con le zone gialle ormai dominanti e con quelle bianche all’orizzonte, si discute di ritorno al new normal. Non mi avventuro né nel new, né nel normal. Mantra futurista e interdisciplinare, da addetti ai lavori. Mi basta parlare di abitudini di vita “figlie dei tempi”.

Per la Treccani, la parola abitudine esprime la “tendenza a ripetere determinati atti, a rinnovare determinate esperienze (per lo più acquisita con la ripetizione frequente dell’atto o dell’esperienza stessa)”.

Le abitudini si formano in contesti specifici, all’interno dei quali vanno analizzate e interpretate: in famiglia, sul lavoro, nel contesto territoriale… E impongono un’analisi di dettaglio: c’è famiglia e famiglia, c’è lavoro e lavoro, c’è città e città …

Per depistarmi da Max Catalano (sarei comunque in buona compagnia, dato che di catalanate oggigiorno si campa), porto qualche testimonianza diretta, dalla trincea dell’Università.

L’avventura è iniziata il 22 Febbraio, quando i Rettori delle Università Lombarde hanno deciso di trasferire le attività didattiche dalla presenza alla distanza. Si pensava fosse questione di qualche settimana, siamo ancora in ballo.

Un periodo di lavoro intenso, fortemente contrassegnato da scelte coraggiose, investimenti innovativi, risultati confortanti, delusioni cocenti. Al centro delle attenzioni manageriali, senza perdere di vista ricerca e terza missione, la mitica didattica a distanza.

Riletto a caldo, è un periodo che lascia in eredità delle abitudini “buone”: tensione all’innovazione, lavoro in team, apprendimento esterno, miglioramento continuo hanno rappresentato le fondamenta della migrazione di lezioni, esami, lauree dalle quattro mura di un’aula ad un contesto virtuale. Aggiungiamoci qualche tocco di positività da webmeeting: puntualità mai registrate in precedenza, rispetto di chi ha la parola (pena traumi all’udito), fair play nelle richieste di intervento (con tanto di manona a supporto), confronto vivace (chat in diretta, whats app paralleli…).

Ma a bilancio vanno messe anche abitudini “cattive”. Per cominciare, l’aver smarrito la dimensione formale, estetica, simbolica, di quanto si stava facendo. Una lezione in un’aula è un conto, davanti a un computer è un altro. Un esame e una discussione di laurea idem. Né cambia gran che quando si parla di riunioni, professionalmente intese. Diciamocelo in tutta franchezza. Si è visto e si sta vedendo di tutto: lezioni improvvisate, schermi oscurati, sfondi tropicali, dress code alla deriva (pigiami compresi) … tappeti parlanti, buche per suggeritori, software pro plagio. Per non dimenticare i meeting inflazionati e a frequentazione virtuale più che sostanziale. Le contromisure, siano esse la formazione sull’utilizzo delle piattaforme, le netiquette in salsa di Galateo, i software antiplagio, …. hanno funzionato fino a un certo punto.

Ciò detto, la ormai dirompente “nausea da soluzioni digitali” delinea lo scenario a cui tendere. È quello costituito da un nuovo punto di equilibrio, che consolidi quanto positivamente sperimentato e che recuperi quanto traumaticamente abbandonato.

Palestra d’elezione, lo smart working, attorno al quale (tolti retorica e opportunismi di circostanza) si apre una prateria di progettazione tutta da percorrere, strumenti di buon management alla mano: job description, sistemi di valutazione della produttività, modelli di cittadinanza organizzativa, infrastrutture tecnologiche…..

Palestra di tutti i giorni: le abitudini di vita.

Mark Twain diceva che “L’abitudine è l’abitudine. Non si può sbatterla fuori dalla finestra: bisogna invece, a forza di persuasione, farle scendere le scale un gradino alla volta”. Il Cardinal Ravasi, in “Scolpire l’anima”, commenta così: “Superare un difetto, fisico e morale, è frutto di un lungo esercizio. Devi proprio scendere gradino per gradino, quasi come fanno i bambini, che prima saggiano il terreno, poi fanno più tentativi e solo alla fine conquistano il nuovo spazio per riprendere da capo l’operazione. La parola “ascesi” nella sua genesi greca significa “esercizio”. Prima di riuscire a volteggiare libero nell’aria l’acrobata deve passare giorni e giorni in una serie di atti modesti e ripetuti. Altrimenti si rimane a terra, imprigionati nella propria gravità”.

Ammettiamolo: volenti o nolenti, il lockdown ci ha riempiti di cattive abitudini. Per riprendere la retta via, ci aspettano esercizi acrobatici da Cirque du Soleil.

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