Le origini del Fidelio beethoveniano sono da ricondurre a un dramma di J. Nicolas Bouilly, autore teatrale francese, dal titolo Leonora o l’amore coniugale. Il dramma aveva conquistato il pubblico di mezza Europa (onde le opere di Paër, di Mayr). Beethoven era interessato alle scene francesi (op. di Cherubini, Spontini, Méhul), al Grand-Opéra, alla fusione dell’elemento patetico e romanzesco, derivante dalla narrativa francese settecentesca con quello che potremmo definire d’attualità o di vita vissuta, che dava colore di tinta tragica al momento culminante dell’intreccio, prima del lieto fine obbligatorio. La prima stesura del Fidelio risale all’epoca dell’Eroica e della Sonata Aurora (1803). L’episodio trattato si riferisce all’epoca del Terrore.
La prima versione fu elaborata fra il 1803 e il 1805 e fu rappresentata al Theater an der Wien il 20 novembre 1805 nelle difficili condizioni dell’occupazione francese su testo del peta Sonnleithner con insuccesso. Ridotto a due atti con l’intervento di Stephan von Brauning, corredato di una nuova Ouverture (Leonora n.3), Fidelio ebbe un’accoglienza migliore il 29 marzo 1806, non soddisfacendo però le attese dell’autore. Terza tappa la riesumazione del 23 maggio 1814 con l’esplosione della celebrità ufficiale e mondana. Profonde le riforme della partitura, in maggiore risalto i temi chiave, liquidata la storia privata, esaltati i valori spirituali di libertà e fratellanza contro la violenza della tirannia. Rifatti molti brani, eliminati altri, attenti ritocchi nell’orchestrazione. Già alla fine del primo atto entusiastiche acclamazioni del pubblico con chiamata al palcoscenico, grazie anche al favore del tema ideologico. Definitiva e stabile affermazione nel novembre del 1822 coll’interpretazione sublime della cantante W. Schröder-Devrient.
L’azione si svolge a Siviglia nel XVI secolo. Florestano è imprigionato senza colpa nei sotterranei della fortezza del nemico personale, il Governatore Pizarro. Leonora si traveste da secondino, sotto il falso nome di Fidelio, per salvare lo sposo. Marcellina, figlia di Rocco, capo delle guardie, si innamora di Fidelio/Leonora, suscitando la gelosia del fidanzato Giachino. Il secondo atto si apre coll’accorato lamento di Florestano. Leonora e Rocco entrano nella cella per preparare la fossa in cui seppellire Florestano dopo l’esecuzione. Florestano e Leonora/Fidelio si riconoscono. Florestano giace nudo, abbattuto, stremato. Pizarro entra per ucciderlo, ma Fidelio punta l’arma contro il Governatore, gettate le vesti. Squilli di tromba annunciano l’arrivo di don Fernando, l’inviato del re. Fidelio/Leonora e Florestano si abbracciano, mentre Pizarro è imprigionato e Fernando decreta l’innocenza di Florestano fra gli inni del Coro.
Contestazioni sorsero in ordine al fatto che il Fidelio (peraltro la denominazione prediletta da Beethoven fu sempre quella di Leonora) consta di una parte cantata e di una parte recitata, onde l’intrinseca modernità. Le forme sono ancora simili a quelle del Singspiel, lo spessore psicologico e fisico dei personaggi è parso labile; ma i personaggi perdono a poco a poco i connotati umani, per divenire simboli universali. Don Fernando si fa deus-ex-machina e portavoce dell’altissimo messaggio spirituale. Si tratta di contenuti epici portati alla massima espansione ed esaltazione. Per Beethoven Fidelio “è la creatura, la cui nascita m’è costata i più aspri dolori e procurato i maggiori dispiaceri, per questo è anche la più cara e degna di essere conservata e utilizzata per la scienza dell’arte”.
Per Berlioz nel Fidelio si sprigionano dovunque l’energia, la grandezza, l’originalità e un sentimento altrettanto profondo, quanto vero. Per Car li Ballola i valori orchestrali superano di gran lunga quelli vocali, condizionandoli e subordinandoli nel quadro di una dimensione schiettamente strumentale. A questo spostamento del centro di gravità musicale e drammatica l’opera deve la sua forza e il suo carattere eccezionalmente moderno. Da rilevare l’aria di Florestano nel primo atto (Ah’ perfido), quella di Leonora (Della vita in sull’aurora), il duetto tra Rocco e Fidelio mentre scavano la fossa per la sepoltura di Florestano, il coro dei prigionieri (O qual piacere). Nell’Ouverture si evidenzia il ruolo essenziale degli strumenti a fiato, in particolare l’importanza dell’oboe, uno degli strumenti preferiti da Beethoven, che compare ogni volta che si evoca l’idea di Leonora. Anche Wagner caratterizzerà con l’oboe il fascino femminile delle sue eroine.
L’Ouverture Leonora n.1 fu composta solo nel 1807 a introdurre il Fidelio, ma non fu eseguita. Fu catalogata postuma come op.138. È la più semplice e povera di tutte e fu concepita per dare al Fidelio una connotazione d’ideologia libertaria. La Leonora n.2, non amata dal pubblico, fu composta per la prima rappresentazione del 1805. La Leonora n.3 è la più celebre, composta nel 1806 per la ripresa del Fidelio. La Leonora n.4 introduce il Fidelio del 1814; meno importante musicalmente è rimasta come ouverture ufficiale dell’opera.
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