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Artemixia

UNA PIAZZA CHE SCOLPISCA

LUISA NEGRI - 07/05/2021

 

Il mercato è tornato in Piazza della Repubblica, ha ritrovato la sua storica sede: come raccontano le tante cronache e fotografie dei tempi andati, quando l’incontro di chi comperava e vendeva le merci avveniva in gran parte lì.

Anche il mercato boario si teneva in quella che era stata -in anni ancor più remoti- l’antica Piazza d’armi, quando dalla via Dazio Vecchio arrivava il profumo familiare delle tripperie che sfamavano i contraenti.

Non c’era ancora il monumento del Butti dedicato ai Caduti. Che in origine ebbe peraltro una collocazione diversa dall’attuale, essendo l’opera stata inaugurata il 10 0ttobre del 1923, in piazza XX Settembre, alla presenza del Re Vittorio Emanuele III. Con lui erano le autorità cittadine e il direttore e fondatore della ‘Cronaca Prealpina’ Giovanni Bagaini presidente del Comitato che aveva seguito la nascita del monumento.

Il Morbelli, fotografo ufficiale del quotidiano locale, con studio prospiciente la piazza in via Vittorio Veneto al 9, realizzò in quell’occasione un servizio fotografico eccezionale: dove si coglieva tutta l’eccitazione della città, imbandierata e adorna di fiori, per l’arrivo del sovrano. Ma anche riconoscente per la gratitudine dovuta al noto scultore viggiutese Enrico Butti, che aveva donato il suo lavoro senza volerne alcun compenso.

Per tornare all’attuale piazza della Repubblica, ai tempi del duce era stata ribattezzata -ça va sans dire- piazza dell’Impero. E ben si prestava alle adunate scenografiche che il tempo dettava.

Fa gran piacere che le bancarelle siano ritornate oggi dove eravamo abituati a vederle fino agli anni Sessanta. E sapere -come ci ha già ben illustrato Valerio Crugnola- che si sta attuando una trasformazione della piazza per renderla sempre più accogliente, grazie anche all’intervento dell’Accademia di Mendrisio.

Se riusciremo ad avere qui una piazza più bella potrà essere probabile -non ci si dica che siamo esosi, ma ci speriamo molto- una maggiore attenzione anche alla piazza Monte Grappa.

La creazione di quest’ultima, avvenuta dopo l’abbattimento di diversi edifici, qualcuno anche storico, là dove c’era piazza Porcari, portò alla realizzazione di uno spazio aperto e squadrato, tipico dell’architettura degli anni Trenta, firmata da Morpurgo e Loreti. Chi l’ha conosciuta fin dalla propria nascita si è sentito nel tempo legato a questa piazza, la principale della città, chiusa tra le quinte di palazzoni in marmo, improntati a solidità e linearità. Una solidità smorzata e sfumata peraltro da quel tetto di cielo azzurro, bucato dalla massiccia torre innalzata dal regime per gareggiare col vicino campanile della chiesa di San Vittore. E rallegrata dalla laboriosa sonorità, rassicurante e assidua, della vasca della fontana, dagli spruzzi che la sua chioma liquida diffonde nell’ aria e asperge, come in un rito battesimale, sulle fronti dei più piccini.

Tra le foto di Morbelli ce ne sono diverse che raccontano piazza Monte Grappa quando era nel fiore degli anni: una signora davvero elegante, rispettata dai giovani che certo non la insozzavano di ‘cicche’, di fazzoletti di carta unti, di lattine di Coca e di birra come si fa ora. Perché questo purtroppo succede sempre, soprattutto quando la luce cala: così come avviene ai giardini Estensi e a Villa Mirabello, dove, se arrivate nelle mattine post festive, troverete residui di cibarie, piatti di carta, ammassi di bottiglie, cumuli di sporcizia varia lasciata lì da schiere di giovani, dopo aver mangiato e ‘ben bevuto’.

Chissà se i bevitori di birra hanno mai visto quelle vecchie foto che varrebbe la pena tenere sotto gli occhi? Dove si scorge qualche macchina dell’epoca, molto elegante, in attesa ordinata nello spazio riservato al servizio taxi. E tre eleganti bar, uno era all’angolo accanto all’allora corso Vittorio Emanuele, oggi corso Matteotti, sfoggiano, tra graziosi paraventi sormontati da spalliere di verde e importanti vasi di palme, tavolini e seggiole in sintonia. Non c’era allora l’aiuola che oggi fa da spartitraffico e neppure la conifera cui tocca in sorte, ogni dicembre dell’anno, di camuffarsi da albero natalizio. A ben vedere non è stata un’idea felice quella di metterla lì anni fa. Perché la piazza perde, guardando da corso Matteotti, la sua primitiva profondità.

Che appariva ben evidenziata invece dalle foto di Morbelli, dove c’era la piena visuale del palazzo dell’attuale Camera di Commercio, allora sede del Consiglio provinciale della economia di Varese. Sarebbe bello vederci invece una scultura slanciata e proiettata verso l’alto, magari di Marcello Morandini, già artefice della recente sistemazione del pavimento e dell’arredo della piazza. O altra dell’ottimo Vittore Frattini, ma si potrebbe anche pensare ad entrambi, perché no, e ad altri ancora artisti meritevoli, da proporre in momenti diversi nella piazza stessa o lungo il corso.

Né guasterebbe vedere un po’ di fioritura ai balconi delle case, come succede in altre città vicine. Capita a Como, per esempio, o in piazza della Riforma a Lugano: dove chi transita, o siede ai tavoli dei caffè, è deliziato dalla vista di cascate di gerani rossi.

Sarebbe necessario infine che anche noi cittadini avessimo finalmente più coraggio. Per esempio nel chiedere di vietare l’uso quotidiano, continuo, dei portici e dei due principali corsi come gabinetti all’aperto dedicati ai cani, tenuti al guinzaglio da maleducati personaggi. Per evitare ogni polemica- inutile per chi non vuole sentirne ragione- sarebbe il caso di decidere finalmente di impedirne l’accesso. Non è assolutamente necessario che i bravi animali s’accompagnino alla porticata del padrone, a loro certo non interessa sfoggiare il pedigree.

Abbiamo spazi aperti e verdi, prati, boschi e boschetti che siamo certi siano luoghi molto più piacevoli per i nostri amici. Con un piccolo sforzo di democratica volontà si può convincere il più pigro degli animali (o dei padroni ?) a… spostarsi più in là.

Altrimenti non restano che le multe per gli imbrattatori del suolo comune, necessarie in tempi in cui la pratica dell’igiene (ci) è – giustamente- imposta ogni giorno. Ovunque.

Anche là dove la buona educazione del prossimo sembra essere un’arte troppo difficile da imparare.

Foto tratte dal libro “Alfredo Morbelli fotografo in Varese 1920-1940″ di Luisa Negri e Francesco Ogliari, Lativa editore 1993

 

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