(C) Spero di non deludere le attese di qualcuno tra i rari amici che seguono questa rubrica, se rimando ancora una volta la trattazione del tema ‘SUPERRELIGIONE’. Altri temi appiano più urgenti, anche se altrettanto difficili. Ci sarebbe il ‘caso Fedez’ che porta in primo piano il troppo trascurato disegno di legge Zan, ridotto troppo semplicisticamente dalle due parti contrapposte ad una questione di censura, quando ci sono importanti questioni antropologiche soggiacenti, che verrebbero liquidate come opinioni ormai così superate da apparire tanto inaccettabili socialmente da meritare una censura penale. Già questo argomento basterebbe per introdurre il tema ‘GIUSTIZIA’. Senonché negli ultimi giorni la vicenda dell’inizio della procedura di estradizione dalla Francia di un piccolo numero di ex-terroristi, già condannati per fatti di sangue, e le conseguenti reazioni dei politici italiani e, in contraddittorio, di un gruppo rappresentativo di intellettuali francesi, ci propongono come urgente il dilemma giustizia-perdono come un crocevia di concezioni diverse di civiltà giuridica e morale. A far tracimare il vaso dei dubbi sulla corretta funzionalità del sistema giudiziario italiano arriva il gocciolone cui diamo il nome convenzionale di ‘Loggia Ungheria’, non sapendo come altrimenti dare nome al pasticcio di mosse segrete, irrituali e sostanzialmente incomprensibili al profano, che ha nuovamente avvolto il Consiglio Superiore della Magistratura.
(S) Da come hai preso in mano il pallino, mi sembra che vuoi trattare, l’argomento da solo. Ci lasci almeno la possibilità di farti qualche domanda?
(C) Naturalmente sì, prego.
(S) Ma i filosofi francesi pensano che in Italia ci sia ancora Mussolini?
(C) In un certo senso è pure peggio. Devo ancora una volta alla memoria di Giovanni Cominelli e alla pubblicazione su ‘Santalessandro’, la notizia che quest’ultimo appello ha un illustre e significativo precedente, che risale al 1977: ”si rifà al famoso appello rivolto il 5 luglio 1977 alla Seconda Conferenza Est-Ovest di Belgrado, firmato da J. P. Sartre, M. Foucault, F. Guattari, G. Deleuze, R. Barthes ed altri, nel quale si denunciava l’alleanza DC-PCI, ‘le socialisme à visage humain’, che voleva sviluppare ‘un système de contrôle répressif’ contro il quale si rivoltavano i giovani proletari e gli intellettuali dissidenti in Italia. L’Appello fu ripetuto in occasione del Convegno di Bologna contro la repressione del 23 settembre dello stesso anno. Fa parte del nazionalismo francese l’idea dell’Italia come Repubblica Cisalpina, verso la quale continuare ad esportare le ‘libertà francesi’ non più sulle ali della cavalleria napoleonica, ma su quelle di una sofisticata retorica”. Su questo fondamento, cioè sul giudizio che l’attuale governo italiano vorrebbe riprendere un sistema di controllo repressivo nella forma di “una vendetta tardiva e senza senso”, come opina anche Massimo Cacciari, questo nuovo e meno prestigioso gruppo di intellettuali invoca da Macron il “ ritorno immediato alla dottrina Mitterrand. Dandogli del “Tu”, gli suggeriscono di “citare ai tuoi interlocutori transalpini – che sarebbero appunto Draghi e Cartabia – questo verso che Eschilo una volta mise in bocca ad Atena: ‘Vuoi passare per giusto piuttosto che agire giustamente’“.
(O) Quindi il governo italiano agirebbe ‘ingiustamente’ nel richiedere, a distanza di decenni, l’estradizione di condannati per reati di sangue? Liquiderei sbrigativamente questa valutazione come frutto di cecità ideologico-politica. Mi interessa piuttosto l’argomento che invoca la riconciliazione come obiettivo da perseguire, attraverso un riconoscimento reciproco, fatto di pentimento da una parte e di perdono dall’altra. Non è insensato dire che dopo quarant’anni anche i colpevoli di reati gravissimo potrebbero essere diventati persone ben diverse.
(C) I due aspetti non possono essere separati. Cominciamo col dire che il perdono può originare solo da Dio; non fa parte della misura umana, tanto che si deve perdonare ‘settanta volte sette’, cioè all’infinito. Ma, se non vogliamo immaginare una giustizia divina totalmente sproporzionata alla Sua misericordia, dobbiamo ammettere, come giustamente fa la Chiesa nell’amministrare il perdono col sacramento della confessione, che debbano ricorrere alcune condizioni reali nel soggetto: il pentimento, il proposito di non più peccare, il risarcimento del danno inflitto a chi ha subito il torto e, se necessario, alla comunità ecclesiale, attraverso la penitenza.
Dal punto di vista della società il perdono semplicemente non esiste. Non può esistere come tale, proprio perché le prime due condizioni sarebbero inverificabili. Cose simili come amnistia, indulto e condoni vari non sono il perdono e appartengono semplicemente ad una logica di convenienza del Dominus laico, lo Stato che si afferma sovrano, che rinuncia al risarcimento, di cui è parte l’esecuzione della pena, ma non cancella la natura del fatto e il giudizio su di esso. La giustizia umana, amministrata dallo Stato di diritto deve riconoscere di non poter ambire alla perfezione, ma non può rinunciare ad essere equa verso tutte le parti coinvolte. Non può rinunciare a tutelare le vittime. La prima domanda diventa questa: poteva lo Stato francese opporsi a quello italiano che reclamava la possibilità di esercitare un suo diritto e dovere e potrebbe o dovrebbe farlo ora? La seconda è questa: c’è un modo per offrire ai colpevoli una via di riscatto e alle vittime un risarcimento almeno morale?
(S) Rispondo alla prima domanda. No, assolutamente, la Francia non doveva, anche se lo ha fatto. Consentitemi di dire, nell’acquiescenza o almeno della debolezza dello Stato italiano. Questi quarant’anni sono dovuti sicuramente alla ‘dottrina Mitterand’, tanto quanto alle strane scelte della giustizia italiana, a quella forma di discrezionalità dell’azione penale che deriva paradossalmente dalla sua obbligatorietà solo formale. E questo discorso introduce una nuova domanda: ma cosa sta succedendo nei vertici dell’amministrazione della giustizia?
(C) Non mi sento in grado di rispondere personalmente, ma mi affido a chi ne sa più di me; per esempio il Centro Studi Livatino. (Livatino è il ‘giudice ragazzino’ di cui è in corso la causa di beatificazione). “L’esplosione del contagio – o, almeno, la sua certificazione, avviene nel momento in cui il consigliere del Csm Nino Di Matteo si vede recapitare la copia di un verbale di interrogatorio reso alla Procura della Repubblica di Milano da tale avv. Piero Amara, già emerso agli onori delle cronache giudiziarie nella vicenda che è all’origine delle disgrazie di Luca Palamara: il contenuto del verbale riguarda una presunta loggia massonica ‘coperta’ nella quale sarebbero coinvolti diversi uomini delle istituzioni, non solo magistrati”. Quello che turba non solo me è la mancanza di una reazione sostanziale e competente a questi fatti. Un articolo di Luciano Capone, dal Foglio, prospetta due possibili interpretazioni: “… sono due possibili esiti. Uno è quello prospettato dal Pg di Cassazione Salvi, secondo cui “né io né il mio ufficio abbiamo mai avuto conoscenza della disponibilità da parte del cons. Davigo o di altri di copie di verbali di interrogatorio resi da Piero Amara alla Procura di Milano. Si tratta di per sé di una grave violazione dei doveri del magistrato, ancor più grave se la diffusione anonima dei verbali fosse da ascriversi alla medesima provenienza”. L’altro è la versione di Davigo, secondo cui non c’è stato nulla di irrituale: “Storari per tutelarsi ha informato una persona che conosceva e io ho ritenuto di informare chi di dovere”. E rispetto a questi due scenari contrapposti, a preoccupare di più non deve essere se ha ragione Salvi, se cioè ci sono state gravi violazioni delle norme, ma se davvero tutto questo fosse consentito dalle regole come sostiene Davigo. Se cioè è normale che un consigliere e capocorrente del Csm possa ricevere informalmente da pm amici documenti coperti da segreto, e che possa gestire queste informazioni riservate senza atti e passaggi formali secondo una concezione quasi privatistica della giustizia che si consuma, come atto finale, con l’invio di plichi ai giornali. Se tutto questo fosse ritenuto normale sarebbe la certificazione che non ci troviamo di fronte a una patologia del sistema ma, peggio, di fronte alla fisiologia di un sistema nocivo”.
Detto col massimo rispetto, il turbamento diventa massimo pensando che stiamo parlando del Consiglio superiore della Magistratura, cioè dell’organo supremo di autogoverno di uno dei tre poteri fondamentali dello Stato, che sembra invece mancare di rispetto verso se stesso e verso il suo presidente, che non è altri che il Presidente della Repubblica, nel momento in cui reagisce soltanto dicendo “Vogliono delegittimarci”. Giunti a questo punto appare evidente che solo un’azione straordinaria potrebbe fare chiarezza: una commissione parlamentare d’inchiesta, che non potrebbe più essere temuta come un’intromissione della politica nell’ambito della giustizia, ma sarebbe la necessaria premessa conoscitiva alla altrettanto necessaria riforma del CSM e di parti significative del sistema giudiziario, organizzazione materiale compresa.
(O) Sarebbe però necessario che tutti, ripeto tutti, i partiti in Parlamento non ne facessero un uso strumentale per trarne benefici elettorali. In realtà un progetto così ambizioso può essere affrontato solo in un clima politico di grande unità. Non sono così sicuro che ci sia, in questo momento, nonostante l’ampiezza della maggioranza Draghi. Questa stessa condizione di unità d’intenti sarebbe necessaria per riprendere e dare una risposta efficace alla questione del “che fare dei terroristi una volta estradati in Italia”. Anche in questo caso si richiede una ‘operazione Verità’. Il minimo che può essere offerto ai parenti delle vittime e a coloro che sono rimasti feriti nel corpo e nello spirito dovrebbe essere un sincero pentimento che porti alla libertà di dire come sono andate veramente le cose. Non mi riferisco solo alle vicende dei pochi coinvolti in questo caso, episodi e organizzazioni tutto sommato marginali rispetto ai filoni principali del terrorismo rosso e nero, alle stragi e al delitto Moro. Per immaginare atti di clemenza che dovrebbero essere generali, occorrerebbe che anche l’operazione Verità fosse tanto ampia da giustificare un simile provvedimento, che altrimenti apparirebbe, se limitato a chi finora l’ha fatta franca, sommamente ingiusto.
(C) Ho manifestato in ogni circostanza il mio timore che le SUPERRIFORME di qualunque genere siano destinate a fallire. In questo caso, però, non posso che unirmi ai sogni ad occhi aperti dell’amico Onirio Desti, perché la necessità di provarci è troppo conclamata e perché il rifiuto di occuparsene o il fallimento del tentativo trascinerebbero in un vortice di negatività tutte le istituzioni, anche quelle finora non colpite.
(S) Non ti sfiora il timore che una simile iniziativa parlamentare rischierebbe di creare grossissimi problemi al governo Draghi?
(C) Una proposta del genere è già stata presentata, riguarda la commissione d’inchiesta, che sarebbe il passaggio preliminare e più delicato; un proposta complessiva di riforma della giustizia potrebbe anche procedere per gradi, cominciando da quella del CSM. Naturalmente occorre che questo Parlamento si dimostri all’altezza della situazione e colga l’occasione per riaffermare se stesso come vera sede della politica.
(S) Cioè che il PD si ricordi da quali magnanimi lombi discenda, come partito.
(C) Costante (S) Sebastiano Conformi (O) Onirio Desti
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