Durante la mia esperienza nel Reparto di Radioterapia dell’Ospedale di Circolo di Varese, ho avuto la possibilità di osservare e riflettere su alcuni aspetti della vita. Che cosa colpisce prima di tutto un ammalato di cancro? La propria condizione umana ad esempio, poi soprattutto il comportamento di chi lo deve visitare e di chi lo deve curare. La persona, soprattutto quando vive una situazione di sofferenza fisica, morale o psicologica profonda, ha bisogno di vedere e di capire che chi gli sta vicino lo fa con amore, anche quando le condizioni richiedono un linguaggio chiaro e schietto. Si tratta di un amore distribuito con efficacia persuasiva, che si fa apprezzare per quella sua capacità di entrare direttamente nell’animo umano toccato dalla sofferenza, portando una nota di speranza e di umanissimo realismo. Un sorriso, uno sguardo, una parola, un pensiero o una frase possono creare un solido terreno d’incontro, basato sulla collaborazione e sulla stima reciproca, sulla convinzione che ogni tipo di difficoltà possa essere affrontato e vinto sulla base di una comune collaborazione. Motivare, stimolare, animare e orientare, in questo modo la parte umana della dottrina medica è perfettamente collimante con quella scientifica, umanesimo e scienza si uniscono e collaborano, mettendo in campo le due forze fondamentali sulle quali il divino Dante ha creato la sua Commedia, appoggiando la sua rinascita, la ragione e la fede.
Così è stato per la Letteratura, ma così è anche per la Scienza, che oggi combatte la sua battaglia contro quella pandemia che ha sorpreso tutti, richiamando l’attenzione sulla ricerca e sulla prevenzione, sulla programmazione e sullo studio, sull’importanza che la Sanità ricopre nella società degli esseri umani. Il mio incontro con il personale medico, paramedico, tecnico e infermieristico della Radioterapia dell’Ospedale di Circolo di Varese è stato molto umano, collaborativo, disponibile, interessante e incoraggiante, mi ha fatto capire come una squadra unita e ben amalgamata, possa interagire positivamente anche con l’ambiente, soprattutto quando l’ambiente ha bisogno di essere umanizzato, reso ancora più appetibile, anche solo nel suo profilo strutturale.
Vivere e lavorare in un bunker non è il massimo, l’idea iniziale è infatti quella di appartenere a un mondo privo di quella luminosità che genera pensieri positivi, che induce a guardare alla luce come a una fonte di rigenerazione fisica e morale. Muoversi nei sotterranei della Radioterapia costituisce un elemento di umanissima inquietudine, esorcizzata dall’umanesimo e dall’efficientismo professionale di un personale proattivo, capace di sostenere e stimolare chi ha bisogno di essere capito e accompagnato.
È guardando negli occhi le persone che ho incontrato che mi è venuto in mente il bravissimo Robin Williams e una parte del suo discorso in Patch Adams, sull’arte di educare alla professione di medico. Così afferma: “La missione del medico non deve essere solo prevenire la morte, ma anche migliorare la qualità della vita, perché se si cura una malattia si vince o si perde, se si cura una persona, vi garantisco che in quel caso si vince, qualunque esito abbia la terapia. Qui vedo oggi un’aula piena di studenti di medicina. Non lasciatevi anestetizzare, non lasciatevi intorpidire di fronte ai miracoli della vita, vivete sempre con stupore il glorioso meccanismo del corpo umano. Questo deve essere il fulcro dei vostri studi, e non la caccia ai voti, che non vi daranno alcuna idea di che tipo di medico potrete diventare. Sviluppate subito la capacità di comunicare, parlate con gli estranei, con gli amici, con chi sbaglia numero, con chi vi capita, e coltivate l’amicizia con quelle stupende persone che vedete in fondo all’aula, infermiere, che possono insegnarvi, stanno con la gente tutti i giorni, tra sangue e merda, e hanno un patrimonio di conoscenze da dividere con voi e così fate con quei professori che non sono morti dal cuore in su, condividete la compassione che hanno, fatevi contagiare. Signore, io voglio fare il medico con tutto il cuore”.
In queste parole ho riconosciuto la forza e la bellezza del mondo medico che ho incontrato nel bunker varesino. Se oggi sono un malato che guarda in viso il mondo con un rinnovato entusiasmo è proprio grazie a questo personale che ha saputo farmi riflettere sull’importanza di dare un volto nuovo alla speranza e a tutto ciò che ci viene incontro, sollecitando l’idea che occorra sgombrare il campo dalle prevenzioni e dalle presunzioni, per presentarsi con gratitudine a un rinnovato confronto con sé stessi e con quei tesori che madre natura tiene in serbo per chi li sa cogliere e apprezzare.
La malattia non spegne, ma accende, non destabilizza, ma orienta di nuovo, puntando su ciò che davvero conta, aiutando a superare tutte quelle incertezze che rendono la vita più opaca e più oscura. Forse dovremmo riflettere un pochino di più su tutte le cose belle che richiamano la nostra attenzione, dovremmo aprire di più il cuore a quel mondo che ha bisogno di sentirsi amato e capito. In tutto questo la Scienza svolge un ruolo fondamentale e lo dimostra proprio in questi momenti in cui il mondo medico, paramedico e quello infermieristico lottano strenuamente con tutte le loro forze per rimettere in piedi un pianeta afflitto e duramente colpito.
Mai come ora si può comprendere la grande forza della professione medica, la sua umanità e la sua fierezza, la sua vocazione al sacrificio e alla dedizione, la sua costante attenzione alla bellezza del vivere. I destini a volte si creano e a volte si portano dentro fin dalla nascita. Li senti come se ti appartenessero, come se qualcuno ti avesse fatto una consegna alla quale devi corrispondere. Le vocazioni non sono mai sole, osservano, prendono spunto, si confrontano, respirano quel clima necessario che le fa crescere e prendono coscienza, passo dopo passo, del grande valore della vita.
You must be logged in to post a comment Login